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“Appunti di viaggio, che cosa ho imparato” di A. Maulini

Parte prima

Sabato 28 gennaio a Brescia, di fronte ad un pubblico di oltre 150 persone, si è tenuta l’undicesima presentazione in meno di tre mesi della nuova edizione del mio libro “Comunicare la Cultura, Oggi”, uscito a settembre 2022. In così poco tempo ho percorso centinaia, forse migliaia di chilometri, incontrato decine di persone interessanti, visto posti meravigliosi (uno dei vantaggi della cultura è che spesso si lavora in luoghi “magici”), parlato di molti argomenti di grande attualità.

Proprio per questo, sento il bisogno di fare un punto con questo articolo (diviso in due parti, per evitare una lunghezza eccessiva) su tutto quello che ho imparato (ed è tanto!!) da questi incontri in giro per l’Italia. Anche perché se ne stanno preparando altri, che verranno comunicati nelle prossime settimane nell’articolo dedicato qui sul nostro sito e sui nostri canali social.

Una premessa: quando, nel 2017, mi è venuta l’idea di riassumere in un libro il mio pensiero e l’esperienza professionale di, ormai, tanti anni di lavoro nel marketing e nella comunicazione della cultura, non avrei mai pensato che sarebbe stato così difficile. Trovare una forma completa a una materia così fluida e complessa è stata un’impresa veramente faticosa, che ha richiesto molto tempo (più di due anni e mezzo per preparare la prima edizione e poco meno di un anno e mezzo per la seconda) e a cui ho pensato di rinunciare più volte in corso d’opera. Anche perché, se già i testi sul marketing della cultura sono veramente pochi (cito i due più rilevanti: lo storico “Marketing delle arti e della cultura” di François Colbert e “Il marketing della cultura” di Alessandro Bollo), quelli sulla comunicazione (anche se nel mio la trattazione di marketing è fondamentale e propedeutica alle parti successive) sono praticamente inesistenti.

Ho dovuto quindi formarmi su tutto: come costruire un sommario, come scrivere (e ho capito che non sono una penna così facile come pensavo…), di che cosa parlare e con quale livello di approfondimento. Ho imparato prima di tutto io stesso a studiare, a non dare per scontato nulla, a controllare tutte le fonti, perché un libro, soprattutto un manuale come questo, non consente lo sbaglio e l’imprecisione. È stato un lavoro veramente certosino, in cui il mio editore, nelle persone di Sara Speciani e Giovanni Gondoni, ha svolto un ruolo assolutamente fondamentale, anche psicologico, direi.

Come racconto spesso, il libro originariamente doveva chiamarsi solo “Comunicare la Cultura”. L’aggiunta del suffisso “Oggi” è stata una mia volontà, perché nello scrivere mi sono reso conto di quanto la materia di cui volevo parlare fosse in continuo mutamento, quasi quotidianamente.

O meglio, i fondamenti (molti, ad esempio, sanno del mio amore quasi viscerale per il modello AIDA o per il macro-concetto di Identità Aziendale e i sotto concetti collegati) fortunatamente sono intatti e solidissimi; la realtà di oggi, ancora di più dopo la pandemia, ha però portato a cambiamenti molto rapidi, con presunte “rivoluzioni” che spesso si rivelano bolle di sapone (un esempio è Clubhouse che solo pochi mesi fa sembrava pronto a diventare uno dei social più di rilievo a livello mondiale, per poi rallentare e praticamente fermarsi quasi improvvisamente).

Seguirà una seconda parte di questo articolo che raccoglierà una serie di considerazioni derivanti dalle numerose riflessioni e dai ragionamenti fatti con chi ha partecipato insieme a me alle presentazioni, che rappresentano indubbiamente alcune tra le voci più influenti del panorama della cultura in Italia, come riportato nella comunicazione dei diversi incontri.

Voglio qui di seguito ringraziare tutte le persone che mi hanno onorato della loro presenza:

Emanuele Amodei, Amministratore Unico IAR – Istituto per l’Arte e il Restauro Palazzo Spinelli

Gianluca Bellucci, Consulente in Valorizzazione e Gestione del Patrimonio Culturale 

Alessandro Borchini, Direttore Marketing e Comunicazione del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

Maria Borio, Scrittrice e ricercatrice

Antonella Camarda, Manager del Distretto Culturale del Nuorese

Claudia Cannella, Direttore di Hystrio Trimestrale di Arte e Spettacolo e Direttore Artistico del Teatro Verdi Pordenone

Giovanni Carta, Portavoce e Capo Ufficio Stampa del Sindaco di Firenze

Clementina Casula, docente presso l’Università degli Studi di Cagliari

Davide Conte, Economista

Luisa Cuttini, Direttore artistico di Circuito CLAPS

Roberta Ferraresi, Docente presso l’Università degli Studi di Cagliari

Raffaele Filace, Responsabile Comunicazione di Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto

Emilio Gelosi, responsabile comunicazione Legacoop Romagna

Valentina Gensini, Direttore Artistico e Responsabile Area Contemporaneo Murate Art District – MUS.E

Valeriya Kilibekova, Coordinatrice Generale di Profili e Docente di Marketing e Comunicazione alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano

Lanfranco Li Cauli, Direttore Marketing e Fund Raising del Teatro alla Scala

Roberto Mercadini, Attore, scrittore, Youtuber

Marco Moledda, Coordinatore di Teatro Eliseo Nuoro

Luca Monti, Mec – Eventi e Comunicazione per la Cultura, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Giulia Muroni, Co-programmazione artistica e Comunicazione di Sardegna Teatro

Andrea Paolucci, Co-direttore artistico del Teatro dell’Argine

Francesco Pilia, Organizzatore culturale

Enrico Pitozzi, Docente di Forme della Scena multimediale presso l’Università di Bologna – DAMS

Luigi Radassao, Curatore della rassegna MO.CA SUONA

Andrea Soddu, Sindaco del Comune di Nuoro

Giovanni Soresi, Consulente di marketing e comunicazione, già Direttore Comunicazione del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

Giovanni Tarpani, Comunicatore

Qui di seguito sono riepilogate le date di tutte le presentazioni che si sono svolte finora, mentre le prossime in programma le trovate nel calendario in continuo aggiornamento nella pagina dedicata al tour.


Andrea Maulini

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La rivoluzione podcast conquista anche la cultura!

Che i podcast abbiano riscosso un successo sempre crescente negli ultimi anni non è certo un mistero, ma perché oggi possiamo pensare di impiegarli nella nostra strategia di comunicazione culturale?

In Italia l’offerta di podcasting sta fiorendo continuamente, arricchendosi di contributi diversi che trovano applicazione in ambiti tra i più svariati: società, lifestyle, crime, gender equality, moda, ambiente e sostenibilità, informazione giornalistica, arte. Insomma oggigiorno chi più ne ha, più ne mette.

Ma da dove arriva tutto questo successo e soprattutto come?

Partiamo dall’assunto che l’ascoltatore di podcast è attivo nella ricerca di cosa ascoltare e compie deliberatamente tale scelta. Ciò significa che non è passivo di fronte ai contenuti che gli vengono proposti, come ad esempio accade agli utenti sui social che, scrollando, si imbattono nei vari post altrui.

Stando al report Ipsos Digital Audio Survey, gli ascoltatori di podcast in Italia nel 2022 sono il 36%, il +5% rispetto al 31% del 2021. Circa 11,1 milioni di utenti ascoltano contenuti audio in streaming (1,8 milioni in più rispetto allo scorso anno). La fetta più ampia di questo pubblico, il 43%, sono giovani under 35.

E indovinate?

Il 72% degli italiani ascolta podcast dal proprio dispositivo mobile, un dato che molto probabilmente è da attribuire a una delle caratteristiche fondanti il successo di questa tipologia di canale: la possibilità di ascoltarli mentre svolgiamo altre attività.

I podcast ci hanno offerto una modalità soft, non impegnativa, empatica e fruibile in qualsiasi momento di arricchire la nostra conoscenza su tematiche di nostro interesse.

Perché i podcast possono rappresentare un successo anche nella comunicazione culturale?

Per le istituzioni culturali creare un legame con il proprio pubblico o intercettarne di nuovo è una sfida che da sempre richiede un approccio legato ad una conoscenza professionale della comunicazione e anche del marketing.

Lo scopo ultimo è quello di fidelizzarlo e di mantenere con esso un rapporto che vada oltre lo spazio fisico (come quello museale, teatrale, ecc.), che sappia raggiungerlo anche a distanza, secondo un approccio audience-oriented.

Inoltre la vision di qualsiasi ente che si occupa di cultura, nella sua più ampia accezione, è incentrata sulla crescita personale e collettiva degli individui attraverso l’arte. Questo fattore legato all’accrescimento formativo è proprio l’essenza stessa dei podcast. Inoltre, ecco alcuni dei principali vantaggi legati al loro utilizzo:

  • Acquisire nuovo pubblico
  • Fidelizzare il pubblico esistente
  • Fare divulgazione aggiuntiva e quindi offrire contenuti di approfondimento
  • Raggiungere il proprio target o i propri segmenti di target

Quali podcast per il pubblico della cultura?

Ad oggi sono tantissimi quelli riservati al pubblico della cultura che popolano le note piattaforme di streaming. Realizzati da privati (Storielibere, Morgana) o in collaborazione con realtà istituzionali (Ministero della Cultura, Paladine), i prodotti podcast contribuiscono a portare prospettive diverse, approfondimenti e curiosità relative a un settore spesso relegato a una comunicazione old-fashioned o poco incline alla colloquialità in termini di linguaggio.

Una cultura a puntate, per così dire, capace di catalizzare l’attenzione del pubblico attraverso contenuti di valore, ben strutturati e calibrati, ricchi di voci e suoni che accompagnano l’ascoltatore in un mondo senza immagini. La struttura stessa dei podcast gioca un ruolo importante. Ecco, infatti, le tipologie più comuni:

  • L’intervista: prevede la presenza di un host e di un ospite, talvolta più di uno, il che garantisce un contenuto sempre vario e differente. Inoltre, ciò rende possibile accrescere la propria audience, raggiungendo anche il pubblico dell’ospite. In ambito culturale, un esempio di questi è Voce ai libri!
  • Il free-talk: è la combinazione perfetta tra attualità e improvvisazione. Una dose generosa di ironia ed empatia non fanno che dare quel sapore in più ad un prodotto di questo tipo, assicurandone il successo. Un esempio nella cultura? Artefatti!
  • La narrazione: il ruolo principale lo gioca la storia in sé. Basta soltanto scegliere un aneddoto o un episodio vincente da raccontare, senza dimenticare di creare un po’ di suspense tra una puntata e l’altra…e il gioco è fatto. Paladine realizzato dal MiC, in questo caso, merita un ascolto!

Altri esempi di podcast legati alla cultura:

A piece of Work (MOMA)

Artribune

LessonPod: pillole di cultura!

Morgana

Una specie di tenerezza (Chora e Punta della Dogana)

In buone mani (Mia Ceran)

Voce ai libri

Per concludere, possiamo affermare che il sodalizio tra podcast e cultura si sta rivelando sempre più vincente. Senz’altro può rappresentare una nuova modalità di fare comunicazione e marketing, ma dobbiamo sempre ricordarci che prima di approdare su questa tipologia di canale è il caso di chiederci che cosa abbiamo realmente da raccontare che possa essere di valore per il nostro pubblico.

Content – insomma – is always king.

Consiglio finale? Fate il pieno di podcast e provate a studiarveli un po’… se avete una storia da raccontare e siete creativi al punto giusto, non sarà difficile trovare il format perfetto!

Chiara Di Meo, Rossella De Toma


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Comunicare la Cultura, Oggi – On tour

Nasce dalla nuova edizione di Comunicare la Cultura, Oggi di Andrea Maulini l’idea di creare delle opportunità di confronto aperto attorno ai temi della comunicazione e del marketing della cultura.

Il libro, uscito lo scorso luglio in tutte le librerie e gli store digitali, è perciò l’occasione da cui partire per costruire un fitto calendario di incontri in tutta Italia. Un dialogo itinerante che inizia nella seconda metà di ottobre e proseguirà fino alla primavera 2023, riunendo le voci più influenti del panorama della comunicazione e del marketing culturale in Italia, coordinate da Andrea Maulini, autore del libro e Amministratore Delegato di Profili.

In un momento in cui gli scenari della comunicazione e del marketing della cultura sono in rapido cambiamento, un tema che abbiamo recentemente affrontato nel nostro blog, questi incontri vogliono essere uno spazio di riflessione e discussione, per capire in che direzione ci stiamo muovendo e verso quali orizzonti le istituzioni culturali dovrebbero volgere lo sguardo.

Programma

Il calendario degli incontri è in continuo aggiornamento. Vi informeremo progressivamente, in questa pagina web e attraverso i nostri canali social, sulle date di ogni incontro e sugli ospiti che parteciperanno.

Calendario appuntamenti 2023:

Hanno partecipato:

Valentina Gensini, Direttore Artistico e Responsabile Area Contemporaneo Murate Art District – MUS.E

Giovanni Carta, Portavoce e Capo Ufficio Stampa del Sindaco di Firenze

Emanuele Amodei, Amministratore Unico IAR – Istituto per l’Arte e il Restauro Palazzo Spinelli

  • 28 GENNAIO 2023 – BRESCIA: MO.CA, ore 20,30

Hanno partecipato:

Luisa Cuttini, Direttore artistico di Circuito CLAPS

Luigi Radassao, Curatore della rassegna MO.CA SUONA

A seguito della presentazione si è tenuto il doppio concerto di Lorenzo Polidori e di Osasmuede Aigbe, protagonisti della serata Glocal Sound, nell’ambito della rassegna MO.CA SUONA.

Parteciperanno:

Cristina Valenti, Direttrice del Master in Imprenditoria dello Spettacolo, Presidente dell’Associazione Scenario e Direttrice artistica di Scenario Festival

Matteo Casari, Professore di Teatri in Asia e Organizzazione ed economia dello spettacolo presso il Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna

Fabio Acca, esperto di progettazione e comunicazione

Seguiteci sulle nostre pagine Facebook, Instagram e LinkedIn per tutte le novità in arrivo!


Calendario appuntamenti 2022:

Hanno partecipato:

Emilio Gelosi, responsabile comunicazione Legacoop Romagna

Roberto Mercadini, attore, scrittore, Youtuber

Hanno partecipato gli studenti e i docenti dei Master offerti dall’Istituto per l’Arte e il Restauro – Palazzo Spinelli.

Hanno partecipato:

Clementina Casula, docente presso l’Università degli Studi di Cagliari

Roberta Ferraresi, docente presso l’Università degli Studi di Cagliari

Giulia Muroni, Co-programmazione artistica e Comunicazione di Sardegna Teatro

Hanno partecipato:

Andrea Soddu, Sindaco del Comune di Nuoro

Antonella Camarda, Manager del Distretto Culturale del Nuorese

Hanno partecipato:

Paola Calvetti, giornalista, scrittrice e consulente di comunicazione

Claudia Cannella, Direttore di Hystrio Trimestrale di Arte e Spettacolo e Direttore Artistico del Teatro Verdi Pordenone

Giovanni Soresi, Consulente di marketing e comunicazione, già Direttore Comunicazione del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

Luca Monti, Mec – Eventi e Comunicazione per la Cultura, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Qui la locandina dell’evento.

Hanno partecipato:

Andrea Paolucci, Co-direttore artistico del Teatro dell’Argine

Davide Conte, Economista

Enrico Pitozzi, Docente di Forme della Scena multimediale presso l’Università di Bologna – DAMS

Raffaele Filace, Responsabile Comunicazione di Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto

Hanno partecipato:

Lanfranco Li Cauli, Direttore Marketing e Fund Raising del Teatro alla Scala

Alessandro Borchini, Direttore Marketing e Comunicazione del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

Moderazione:

Valeriya Kilibekova, Coordinatrice Generale di Profili e Docente di Marketing e Comunicazione alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano

Hanno partecipato:

Maria Borio, Scrittrice e ricercatrice

Giovanni Tarpani, Comunicatore

Gianluca Bellucci, Consulente in Valorizzazione e Gestione del Patrimonio Culturale 


Rassegna stampa:

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Il futuro della comunicazione culturale

Quali sono gli scenari che si stanno delineando nel modo in cui gli enti culturali si trovano oggi a comunicare, ancora di più dopo gli avvenimenti di questi ultimi anni?

Quali nuove opportunità si possono cogliere, in un approccio integrato di marketing e comunicazione della cultura?

Questo articolo, che riporta in toto il capitolo finale della seconda edizione di Comunicare la cultura, oggi di Andrea Maulini, raccoglie un lavoro di analisi delle tendenze e delle potenzialità offerte da nuovi strumenti, come il digitale, e da nuovi mindset applicati al mondo della cultura.


La rivoluzione della pandemia 

Dalla precedente edizione di questo libro (2019) a oggi, come è noto, nel mondo è avvenuta una vera e propria rivoluzione, di cui probabilmente vivremo le conseguenze ancora per anni. 

Il settore della cultura è stato tra i più colpiti dallo stop all’economia che il Coronavirus ha imposto nel 2020 e negli anni successivi: mostre e musei hanno dovuto interrompere la loro attività, i teatri hanno aperto a singhiozzo e con forti restrizioni nel numero dei posti, i festival si sono svolti in tempi ridotti, se non direttamente online. Anche le riaperture successive hanno vissuto momenti non semplici, con contingentamenti, blocchi, chiusure totali o parziali ecc. 

Anche il pubblico, naturalmente, ha risentito di questa crisi. Nello spettacolo dal vivo il calo di spettatori, e ancor più di abbonati, è rilevante; i musei e le mostre vedono un leggero recupero, anche grazie al rinnovato flusso turistico verso l’Italia almeno nel periodo estivo, ma si è ancora lontani dai livelli degli anni precedenti. 

Come hanno reagito gli enti culturali a questi avvenimenti? Che cosa è rimasto delle iniziative messe in atto per fare fronte alla prima emergenza, e quanto c’è ancora da fare per gestire cambiamenti che appaiono, come detto, fondamentali e di lungo periodo? Vediamo qui di seguito un focus sugli elementi a nostro parere più rilevanti. 

Una “nuova” utenza online 

Come detto nei precedenti capitoli, uno dei principali effetti della pandemia è stato il forte aumento o, per meglio dire, l’esplosione dell’online e, in particolare, dei social. Nel mondo, come accennato, in un solo anno sono arrivati più di 420 milioni di nuovi utenti, con un aumento di più del 10%; in Italia oggi le persone che li usano sono più di 43 milioni (poco meno del 72% della popolazione), con un aumento del 5,4% rispetto all’anno precedente. Le previsioni, peraltro, sono di una ulteriore crescita degli utenti e anche di un incremento dei social utilizzati. 

Questo naturalmente ha portato le aziende di tutti i settori a prestare un’attenzione sempre maggiore a questi mezzi, spostando gli investimenti pubblicitari in maniera crescente verso l’online. 

Anche le strutture culturali, pur se lentamente, hanno iniziato a seguire questa direzione. Ad esempio, cominciando (finalmente) a muoversi in maniera più coordinata: sono molti gli enti che hanno deciso di far seguire la comunicazione social, e spesso anche i siti internet, a personale specializzato, avvalendosi di esterni (professionisti e/o agenzie) ma anche riposizionando risorse interne. E anche di attivare nuovi social: oltre ai tre che abbiamo indicato come principali (Facebook, Instagram e YouTube) – di cui vi abbiamo parlato in questo articolo – presenti in gran parte delle strutture culturali medio-grandi italiane, molti hanno aperto LinkedIn, per rivolgersi a un target professionale e aziendale; altri, soprattutto tra i musei, stanno cominciando a sperimentare TikTok, oppure Twitch e altri social. 

Un altro mezzo che in questo periodo si è distinto per efficacia è la newsletter. Chi la propone ha visto decisamente aumentare gli iscritti alle mailing list, e migliorare notevolmente, spesso con incrementi a due cifre, i tassi di apertura e di lettura. È quindi un mezzo a cui si stanno apportando parecchi miglioramenti, da un punto di vista di contenuti e anche per quanto riguarda la leggibilità e la grafica. 

Ma le iniziative di contrasto al periodo pandemico che hanno avuto indubbiamente più notorietà e diffusione sono state per i musei un deciso investimento sui contenuti online, in particolare video, ma ancora di più, per i teatri, l’apertura di canali streaming dedicati. 

Vediamo, qui di seguito, quali azioni sono state condotte in questo ambito e che cosa è rimasto attivo ad oggi. 

I contenuti online e lo streaming 

Le strutture culturali trovano, naturalmente, nella fisicità il loro punto di forza: uno spettacolo teatrale si realizza pienamente solo dal vivo, una mostra e un museo sono quantomeno complicati da visitare online, di un festival si apprezzano particolarmente l’atmosfera e la “magia” che si creano tra i protagonisti, il pubblico e i luoghi in cui si tengono gli eventi. Tutte cose che sul web e sui social sono solo parzialmente riproducibili, o non lo sono per nulla. 

Per questo, quando nel 2020 in brevissimo tempo il mondo si è dovuto praticamente fermare, la prima reazione degli enti culturali (e non solo…) è stata di shock: spettacoli, mostre, eventi sono stati interrotti improvvisamente, con notizie sempre più drammatiche che venivano date ogni giorno e forti preoccupazioni per il futuro, della cultura e non solo. 

Poi, una volta capita l’entità dell’emergenza nonché i tempi lunghi per uscirne, e grazie anche al fatto che gran parte degli enti finanziatori della cultura (oltre al Ministero, organismi territoriali, fondazioni ecc.) hanno confermato le erogazioni estendendole, almeno parzialmente, anche al 2021 e al 2022, le strutture culturali hanno cominciato a cercare soluzioni che consentissero di affrontare il momento di instabilità. La scelta si è indirizzata principalmente verso l’online: non solo rafforzando i canali esistenti o aprendone di nuovi ma, per i musei, sviluppando iniziative di divulgazione e di coinvolgimento anche attraverso canali creati ad hoc; per i teatri soprattutto con il lancio o il potenziamento di canali streaming. Vediamo nei prossimi paragrafi le diverse iniziative intraprese1.

1L’impatto della pandemia sui festival ha portato, per alcuni, all’annullamento dell’edizione 2020. Altri, invece, hanno concentrato gli eventi in pochi giorni, spesso spostandoli alla fine dell’estate, quando l’impatto del virus era minore.  
  • I musei: divulgazione e coinvolgimento 

Molti musei, non solo in Italia, hanno reagito alla pandemia creando tour virtuali, con percorsi in 3D all’interno delle sale e la possibilità di ingrandire le immagini delle opere in esposizione cliccando per dettagli e approfondimenti. La relativa staticità di una visita così realizzata e la notevole differenza rispetto a un’esperienza dal vivo, tuttavia, hanno “costretto” fin da subito a un battage di comunicazioni, in particolare multimediali, per mantenere alti l’attenzione e l’interesse del pubblico in attesa della riapertura, con iniziative di divulgazione e promozione delle collezioni e delle opere esposte, ma anche di coinvolgimento degli utenti. 

È nata quindi l’iniziativa #museichiusimuseiaperti, patrocinata dal MiBACT che, nell’ambito della campagna #iorestoacasa, promossa dallo stesso Ministero, aveva l’obiettivo di “raccontare virtualmente le opere in attesa che possiate tornare ad ammirarle con i vostri occhi”, come riportato dal sito del Ministero. Molti musei quindi, tra cui il MANN di Napoli o il Museo archeologico nazionale delle Marche, hanno messo online filmati, cortometraggi o documentari estratti dagli archivi. Altri hanno realizzato contenuti ad hoc, come ad esempio “Le passeggiate del Direttore” del Museo Egizio di Torino, dove il direttore Christian Greco accompagnava gli utenti in una serie di visite guidate all’interno della vastissima collezione del museo, oppure #storieaportechiuse del Museo della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci di Milano o ancora #PoldiPezzoliStories del Museo Poldi Pezzoli di Milano, che ogni giorno raccontava sui suoi profili Facebook e Instagram un’opera scelta tra le sue collezioni o la sede museale stessa. Il Poldi Pezzoli, peraltro, ha organizzato anche #PoldiOpen, una serie di visite guidate online (via Zoom) a pagamento alle mostre aperte in quel periodo dedicate in particolare al pubblico anziano, il più colpito dalla pandemia di Covid-19. 

Altri musei hanno proposto quiz interattivi, giochi, iniziative promozionali, riscuotendo un buon successo. 

Anche all’estero, la risposta dei musei alla pandemia è stata simile a quella degli enti italiani. Con esempi di assoluta eccellenza, come il meraviglioso viaggio virtuale all’interno del Museo Ermitage di San Pietroburgo promosso dalla stessa Apple in occasione del lancio dell’iPhone 11 Pro dove un unico piano sequenza porta l’utente per 5 ore, 19 minuti e 28 secondi in una visita all’interno di 45 delle sale più belle del museo. 

Una volta terminata l’emergenza, non molti musei purtroppo hanno portato avanti le iniziative organizzate tra il 2020 e il 2021, anche se alcuni, sulla base delle esperienze accumulate, hanno comunque rafforzato la propria comunicazione online, in particolare il canale YouTube. 

Forse però, considerando ciò che si è messo in campo in quel periodo, si potrebbe fare di più. 

I teatri: lo streaming 

Per i teatri il discorso non è dissimile da quello per i musei, anche se con qualche eccezione. 

Prima della pandemia i canali streaming dedicati al teatro e alla musica nel mondo erano pochi, e ancor meno in Italia. A livello internazionale, già si distingueva per la sua eccellenza la Digital Concert Hall dei Berliner Philarmoniker lanciata addirittura nel 2008, propone ogni anno in Full HD, su un sito dedicato, più di 40 concerti online, gran parte dei quali in diretta, oltre ad alcuni concerti rieditati e rimasterizzati tra i più importanti nella storia di quella che è probabilmente l’orchestra più famosa al mondo. Il tutto con delle formule di membership settimanale, mensile o annuale che consentono l’accesso anche all’archivio degli oltre 650 eventi trasmessi finora. E a conferma di questa eccellenza anche dal punto di vista delle strategie di marketing la Digital Concert Hall, poco dopo l’inizio della pandemia e per gran parte del 2020, ha proposto una membership gratuita di un mese (invece dell’abituale settimana), che ha portato, terminata la prova, a un forte incremento delle iscrizioni a pagamento, rafforzando ulteriormente la diffusione e il successo di questa piattaforma. 

Anche altre istituzioni teatrali e musicali, in particolare i teatri d’opera, avevano già fatto negli anni precedenti alcuni passi verso il lancio di canali streaming. Interessanti, a questo proposito, due progetti trasversali nel campo dell’opera, sviluppati prima della pandemia e sostenuti in gran parte da fondi pubblici: OperaVision, una piattaforma finanziata nell’ambito del progetto dell’Unione Europea Creative Europe, che trasmette in streaming spettacoli di 29 teatri appartenenti a 17 paesi europei e, in Italia, OperaStreaming un’iniziativa della Regione Emilia Romagna che programma, su un canale dedicato YouTube, opere in streaming degli enti lirici e dei teatri di tradizione, appunto, emiliano-romagnoli. 

La pandemia, come dicevamo, ha indubbiamente accelerato le iniziative in questa direzione: a nostro parere, tuttavia, non tutti si sono mossi in maniera ottimale. Spesso lo streaming è stata una scelta avviata più per far fronte a un’emergenza che per la volontà di creare una modalità di comunicazione rivolta a un nuovo pubblico o anche al pubblico attuale, ma in maniera innovativa. Sono quindi nati un po’ disordinatamente portali, canali YouTube o addirittura pagine Facebook che proponevano in streaming filmati storici, documentari, riprese d’archivio spesso di qualità decisamente migliorabile (chi scrive ricorda, ad esempio, di avere assistito a un’opera lirica con ripresa stessa dalla telecamera di sicurezza, con video sgranatissimo e audio quasi inascoltabile). Anche chi ha deciso di investire realizzando riprese per spettacoli messi in scena ad hoc non sempre è riuscito a costruire un prodotto di qualità, a causa dei budget ristretti ma anche della relativa inesperienza in questo campo. 

Conseguentemente terminata l’emergenza, o almeno la sua prima fase, molti canali sono stati abbandonati o aggiornati solo in maniera sporadica. Con qualche eccezione: ai pochi storici canali italiani di streaming, come quelli del Piccolo Teatro di Milano o del Teatro Carlo Felice di Genova, se ne stanno infatti progressivamente affiancando altri, alcuni anche con aree a pagamento, in via di rafforzamento e di miglioramento. 

Come noto, poi, a maggio 2021 il MiBACT ha lanciato la piattaforma IT’sART che ha l’obiettivo di costituire una sorta di “hub” per le strutture culturali italiane, dove inserire gli streaming di spettacoli teatrali e musicali, ma anche di cinema e musei, visibili gratis o a pagamento. Nonostante sia stata definita, in fase di lancio, “il Netflix della cultura italiana”, questa piattaforma appare ancora piuttosto in difficoltà. 

Anche all’estero molte strutture teatrali e musicali hanno lanciato nel 2020 piattaforme di streaming, per poi chiuderle o seguirle con meno attenzione quando la situazione pandemica è migliorata. Con anche casi di rilievo, come il Cirque du Soleil che, il 19 marzo 2020, a pochi giorni dall’inizio della pandemia, dopo avere sospeso tutti i 44 show in quel momento in tournée nel mondo ha licenziato ben 4.769 persone (cioè il 95% dello staff) e dopo pochi giorni ha aperto CirqueConnect, un megasito di streaming e contenuti esclusivi. Sito attualmente ancora online, ma con molti meno contenuti rispetto a prima e un aggiornamento piuttosto carente (intanto gli spettacoli, progressivamente, sono ripartiti dal vivo). Oppure “The Shows Must Go On”, il canale YouTube aperto da Andrew Lloyd Webber, probabilmente il più famoso autore di musical di tutti i tempi (Jesus Christ Superstar, Cats, The Phantom of the Opera ecc.) che programmava una volta alla settimana in streaming gratuito (con donazione libera a onlus ed enti no profit) gli spettacoli più noti di questo autore. Canale che ora contiene solo i promo e qualche altro contenuto originale relativo agli spettacoli in scena, naturalmente dal vivo, al momento. 

La pandemia ha costituito tuttavia anche un’importante occasione per alcune istituzioni, in genere (come per altri casi citati in questo libro) appartenenti al mondo anglosassone, per dare vita a vere e proprie eccellenze in questo campo. 

Come BroadwayHD, lanciato a fine 2021, che offre a pagamento, in diretta o on demand, oltre 300 show programmati a Broadway ma anche nel London West End. 

O piattaforme, sempre a pagamento, lanciate dai teatri più grandi, come globeplayer.tv del Globe Theatre di Londra o ntathome del Royal National Theatre, anch’esso di Londra, che stanno progressivamente aumentando il loro fatturato

Tutte iniziative che hanno in comune l’altissimo livello di contenuti e di tecnologie, con riprese in HD, soluzioni di grande impatto visivo, regie a livello cinematografico. Citiamo come esempio il memorabile Frankenstein del Royal National Theatre, peraltro registrato qualche anno fa, con la regia di Danny Boyle (Trainspotting) e l’interpretazione di Benedict Cumberbatch e Jonny Lee Miller, attori cinematografici e televisivi di fama mondiale, che è stato lo spettacolo di lancio, nel 2020, di ntathome. 

In sintesi, per contrastare Netflix e gli altri portali di entertainment in streaming, che molte strutture culturali identificano a torto o a ragione come concorrenti importanti e pericolosi, occorre investire sull’alta qualità, da tutti i punti di vista. Iniziative artigianali, o realizzate in fretta e con mezzi limitati, difficilmente porteranno al successo; anzi il potenziale nuovo spettatore, di fronte a queste proposte, probabilmente si allontanerà dal mondo del teatro, non si avvicinerà di certo. 

Piuttosto, allora, meglio potenziare i propri canali online, video ma non solo, con contenuti originali, freschi, con un taglio e un linguaggio che solo chi conosce il proprio pubblico e lavora “dentro” a questo settore può avere. 

È il momento del marketing 

All’inizio di questo capitolo abbiamo parlato del rilevante calo del pubblico e dei partecipanti alle attività culturali, che rappresenta una delle conseguenze più importanti della pandemia. Un calo certamente dovuto ai timori legati al Coronavirus, ma anche a un cambiamento che appare più di lungo periodo, a partire dalle abitudini personali e familiari: si esce, e si spende di meno e si passa più tempo libero in casa, anche per la forte crescita dei canali televisivi via satellite e, come abbiamo visto, dello streaming. 

Un cambiamento importante, per gestire il quale occorre mettere in campo competenze strutturate e professionali: l’identificazione e il monitoraggio continuativo dei clienti attuali e dei prospect; l’analisi delle potenzialità della propria offerta; la definizione di un portafoglio di prezzi con il giusto rapporto di value for money; una comunicazione differenziata e multimediale, che presti particolare attenzione a un nuovo pubblico, più giovane e decisamente più digital; nuovi canali di vendita, flessibili e smart, con possibilità di offerte sempre più personalizzate

Occorre quindi, finalmente, introdurre un approccio completo di marketing della cultura. Uno strumento, o meglio una serie di strumenti che vedono ancora una poco comprensibile ritrosia alla loro completa attivazione, come se questa comportasse una forzatura o, ancora peggio, una “svendita” al mercato. 

Andrea Maulini


Per gentile concessione di Editrice Bibliografica

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Intervista a Giovanni Soresi

Tratta dalla nuova edizione di Comunicare la Cultura, oggi di Andrea Maulini

Lo scorso 7 luglio è uscita la seconda edizione di Comunicare la cultura, oggi di Andrea Maulini, la versione aggiornata e arricchita di integrazioni, correzioni e aggiornamenti del manuale di marketing e comunicazione, con focus sul settore culturale, pubblicato nel 2019.

Tra le principali novità, vi sono le interviste fatte a personalità rilevanti e autorevoli a chiusura di ciascun capitolo del libro. In questo articolo vogliamo condividere quella a Giovanni Soresi che, vantando un’esperienza di oltre quarant’anni al Piccolo Teatro di Milano, ha creato il Settore marketing e comunicazione, diventandone direttore. Ha inoltre collaborato, tra gli altri, con l’Union des Théâtres de l’Europe a Parigi, il Teatro Lliure a Barcellona, il Touring Club Italiano. 

Qui di seguito l’intervista integrale.


Che cosa ha voluto dire, per te, iniziare la tua esperienza lavorativa al Piccolo Teatro?

Ha voluto dire lavorare, da subito, con due geni: Giorgio Strehler e Paolo Grassi. Strehler è stato un innovatore e un pioniere per la parte artistica, Grassi è stato l’inventore dell’organizzazione e promozione teatrale. E da subito sono stato educato a lavorare tenendo ben presente il concetto di “Teatro d’Arte per Tutti”, la visione programmatica e poetica alla base della fondazione del Piccolo. Un’affermazione, se ci si pensa, molto impegnativa: per chi programma e mette in scena spettacoli che vogliono essere “arte”, ma anche per chi deve promuovere questi spettacoli a tutti, senza distinzione. Non a caso, Paolo Grassi definiva il teatro un servizio pubblico, “come la scuola o i vigili del fuoco”, per citare le sue parole, quindi prima di tutto un servizio per la collettività. 

E questo cosa ha comportato dal punto di vista delle politiche di promozione del pubblico?

Un approccio fortemente pragmatico e appassionato: Paolo Grassi mi ha insegnato a conoscere da vicino il pubblico, incontrarlo, prepararlo a venire a teatro e, soprattutto, a farlo ritornare. E quindi, da subito, anche ad attivare la raccolta di informazioni e contatti degli spettatori, costruendo il primo prototipo di indirizzario e di quello che sarebbe poi diventato un database. 

Un approccio a tutti gli effetti di marketing, anche se in Italia si era ancora ben lontani dal parlarne, anche in molte aziende, non solo nella cultura. 

Quali sono stati i passi successivi? 

Nel 1972 Paolo Grassi andò via dal Piccolo Teatro, per approdare prima in Scala e poi in RAI. Lasciando una metodologia di lavoro che ci ha consentito di continuare a crescere e di sviluppare in maniera progressiva una politica strutturata di “promozione del pubblico”, o di marketing propriamente detto. 

Quelli sono anni in cui, peraltro, io e altri miei colleghi frequentiamo, sostenuti dallo stesso Strehler, i corsi estivi di teatro e marketing della cultura organizzati dalla Columbia University di New York, entrando in contatto con una realtà, quella anglosassone, già all’epoca molto più avanti di noi in questo campo. Per esempio, lì erano attivi da tempo gli “half price ticket”, i biglietti last minute per gli spettacoli in programma in tutti i teatri il giorno stesso, venduti a metà prezzo al TKTS a Times Square. O si parlava già di piano di comunicazione, di segmentazione, sondaggi, gestione del budget. 

Ho iniziato quindi a mettere in atto i primi passi per la costruzione di un sistema di marketing completo. Cominciando, come mi aveva insegnato Paolo Grassi, proprio dalla conoscenza del pubblico.
E, quindi, dalla sistematizzazione della raccolta e della catalogazione degli indirizzi e dei contatti anagrafici, una risorsa fondamentale per costruire qualunque strategia di marketing. Partendo dai nominativi degli spettatori e degli abbonati, integrati da chi compilava un modulo di richiesta informazioni disponibile in biglietteria e all’ingresso del teatro, abbiamo creato un primo database. Era infatti costituito da grandi classificatori che contenevano molte schede, una per ciascun nominativo.

Con un sistema di catalogazione artigianale ma indubbiamente efficace: ogni scheda aveva due buchi. Uno indicava se il nominativo era di Milano o di fuori Milano, l’altro se era abbonato o non abbonato. Una barra consentiva di estrarre i nominativi catalogati, appunto, per residenza e per tipo di acquisto. E quindi di costruire già dei primi “segmenti”, utili per l’invio differenziato delle informazioni e delle promozioni per gli spettacoli e le altre iniziative. 

Ovviamente, quando cominciarono a uscire sul mercato i primi computer, questi attirarono da subito il mio interesse: la rivoluzione fu un Macintosh 512, il secondo modello prodotto da Apple, che avevo comprato direttamente negli Stati Uniti (con i soldi personali miei e di Strehler). Col Mac potevo finalmente lavorare a un vero database del pubblico, prima Lotus 1-2-3, poi Filemaker e qualche anno più tardi la prima biglietteria elettronica con scheda cliente. 

Cosa è successo dopo? 

Progressivamente, abbiamo cominciato a introdurre altri elementi. Lavorare sul brand, il Piccolo era un marchio fortissimo ma andava continuamente aggiornato, e anche lavorare sull’immagine: il teatro, dal punto di vista del marketing, non è un prodotto materiale, ma un servizio (nel nostro caso, come detto precedentemente, un servizio pubblico). E, proprio per questo, è un’esperienza che deve essere ricordata nel tempo e condivisa il più possibile. L’immagine, quindi, è fondamentale da un punto di vista iconografico, e al Piccolo progressivamente abbiamo costituito proprio un settore interno dedicato alla grafica coordinata e alla fotografia, con Emilio Fioravanti, un grande grafico, e Luigi Ciminaghi, il fotografo che con il suo stile inconfondibile ha ripreso praticamente tutte le produzioni del Piccolo fino agli anni Novanta, creando delle immagini che sono rimaste nella storia del teatro italiano, come il famoso “salto” di Arlecchino servitore di due padroni, lo spettacolo-manifesto del Piccolo Teatro.


Un altro campo su cui ci siamo mossi da subito è stato quello del monitoraggio delle vendite e delle azioni di promozione e comunicazione. Prima si faceva solo un elenco degli incassi serali. Ma presto ho capito che la cosa più importante erano i flussi del pubblico e degli incassi, incrociando questi andamenti con le azioni di comunicazione e il budget relativo: così da capire quali azioni funzionassero e quali meno e costruire un piano di comunicazione sempre più efficace.


Poi, più avanti, si è cominciato a lavorare sulle altre leve di marketing: le formule di abbonamento, i prezzi, i canali di distribuzione. Ma il momento di passaggio più importante, quello che ci ha consentito di operare in una completa ottica di marketing e di crescere in maniera definitiva, è stato nel 1993 Quartetto. 

Un nuovo tipo di abbonamento, che ha costituito in qualche modo una rivoluzione nel mondo del teatro italiano. Ci puoi spiegare meglio?

La stagione 1992/93 ha rappresentato, per il Piccolo, un momento di svolta. Le vendite degli abbonamenti infatti erano passate, in pochi anni, da circa 15.000 a poco più di 2.000. Questo, oltre ad altri segnali di crisi, ci ha fatto capire che occorreva rivedere completamente la nostra proposta di abbonamenti e, in generale, l’approccio al pubblico. 

È stata quindi avviata un’ampia ricerca di mercato, curata da un grande professionista, Antonio Valente, che, con questionari, interviste personali e interviste telefoniche ha avuto l’obiettivo di studiare la profilazione e i comportamenti del pubblico, in particolare degli abbonati ed ex abbonati. L’indagine sul pubblico, peraltro, è un percorso che io consiglio sempre di seguire, se possibile in maniera continuativa. Con Quartetto abbiamo iniziato infatti un percorso di ricerche sul pubblico, anche qualitative, che per il Piccolo ha rappresentato un importante patrimonio di conoscenze che si è arricchito nel tempo. 

Per riprendere il discorso, dalla ricerca del 1993 emergevano, tra l’altro, molte critiche agli abbonamenti: troppi spettacoli, troppi vincoli, prezzi alti e una programmazione concentrata in pochi mesi.
Per questo abbiamo deciso di lanciare un nuovo prodotto, la Quartetto Card, costruito secondo una piena logica di marketing. A partire dal nome, che conteneva la parola “Card”, per distinguerla subito da un abbonamento “tradizionale”. E poi, il periodo: a fine campagna abbonamenti tradizionali, per dare una continuità, in modo da promuovere Quartetto anche come regalo natalizio e anche a primavera, riproponendolo poi nella nuova Stagione. Oltre, naturalmente, alla formula, che invece dei 13 o più spettacoli proposti dagli abbonamenti in uso all’epoca ne proponeva solo 4. 

Altra leva di marketing: il prezzo era fissato a 100.000 lire, senza riduzioni o promozioni. Un tagliando più alto rispetto agli altri abbonamenti, corrispondente all’alto valore degli spettacoli proposti, e un prezzo, 100.000 lire appunto, facile da comunicare e invitante. 

Poi, la comunicazione: un forte supporto di mezzi tradizionali, con affissioni, volantini, pubblicità sui giornali ma anche una consistente campagna di mailing e telemarketing, con migliaia di lettere inviate a ex abbonati e a clienti potenziali supportate da follow up telefonici, per promuovere l’abbonamento ma anche avere feedback diretti sull’attività in corso. 

Infine, la distribuzione: oltre che nelle biglietterie, Quartetto è stato venduto in università, biblioteche e anche presso uno stand al piano regali de La Rinascente, il più famoso grande magazzino di Milano.
I risultati sono stati notevoli: da solo, Quartetto ha venduto praticamente come tutti gli altri abbonamenti nel loro insieme, e alla fine della Stagione gli abbonamenti totali erano più del doppio rispetto all’anno precedente. Da questa esperienza è partito un nuovo approccio del Piccolo che ha consentito, tra l’altro, di raggiungere in pochi anni la quota di 25.000 abbonamenti venduti, ma anche di costruire in generale una politica di marketing che ha portato ottimi risultati. 

Dal tuo punto di vista, come vedi oggi la situazione del marketing nel teatro e, più in generale, nella cultura?


Per rispondere partirei ancora da Paolo Grassi, il quale diceva che un teatro è costituito per metà dal palcoscenico e per metà dalla sala: il palcoscenico spesso è grande come la sala, se non di più. 

A mio parere, quindi, la vision e la mission di un teatro, ma in generale anche di un ente culturale, non possono prescindere dalla parte artistica. È l’artista, il direttore artistico, il regista ad aprire la strada, a indicare la via da perseguire. Le altre attività, e tra queste ancora di più il marketing, devono seguire questa via, lavorare al meglio seguendo queste linee. 

Il teatro e la cultura, dal punto di vista di marketing sono un servizio: non li puoi comprare come un prodotto, non te li porti fisicamente a casa. Quello che compri è il biglietto, l’abbonamento o anche la tessera fedeltà; ciò che ti porti a casa è un’esperienza, da ricordare e, se possibile, da rinnovare. Per questo, bisogna costruire con il pubblico, da subito, una relazione: occorre dare la massima accessibilità alle cose che facciamo, da tutti i punti di vista. E, quindi, conoscere il pubblico, parlargli, costruire un rapporto con lui: partire dalle cose che hanno insegnato Paolo Grassi e Giorgio Strehler, ancora assolutamente valide, anche oggi. 

La leva della comunicazione, per il settore culturale, è fondamentale, ma la comunicazione non è solo pubblicità. Occorre ascoltare, proporre, interagire, capire se quello che stiamo facendo va nella direzione giusta e quali miglioramenti possiamo mettere in atto. I canali ci sono: il web, i social, l’e-mail, ma anche il contatto personale, importantissimo nel settore culturale… sono tutti mezzi di relazione, che devono essere usati pienamente, non solo in maniera episodica, come succede ancora troppo spesso. 

Il pubblico è cambiato, in questi anni, molto. Ma indagini e ricerche di mercato, tantomeno a livello nazionale, non se ne fanno da anni. Rappresentano, invece, uno strumento fondamentale per conoscere e capire chi ci segue e come progettare le nostre azioni di marketing. 

E, quindi, come vedi il futuro? 

A mio parere il teatro e la cultura continuano a essere strumenti fondamentali di formazione e partecipazione. Anche questa preoccupazione relativa all’online, allo streaming, a Netflix e agli altri servizi di questo tipo mi sembra assolutamente infondata. Teniamo conto, ad esempio, che molte serie Netflix sono legate al mondo del teatro e proprio per questo a mio parere avvicinano nuovo pubblico, non lo allontanano di certo. E avvicinano anche i giovani, che troppo spesso contattiamo in maniera ancora episodica e one off, senza coltivare con loro una relazione, una parola fondamentale, oggi e ancora di più in futuro. 


Per gentile concessione di Editrice Bibliografica

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Customer Match. Un passo verso il nuovo ecosistema digitale

La privacy degli utenti diventa sempre più importante. Molte piattaforme abbandonano gradualmente le campagne remarketing e retargeting basate sui cookie a causa di modifiche della privacy, dei browser e delle normative.

Per questo motivo l’unica soluzione percorribile sembra quella dei dati proprietari. Queste informazioni, come nome, email, numero di telefono e comportamenti online e offline, permettono all’azienda conoscere meglio la propria utenza e, di conseguenza, soddisfare al massimo le loro esigenze. 

Oggi vogliamo parlarvi di Customer Match di Google Ads. Non si tratta di una novità, bensì di una semplificazione, un miglioramento nell’utilizzo avvenuto a novembre 2021 che ha reso questo strumento sfruttabile appieno da moltissimi inserzionisti di Google.

Customer Match permette di utilizzare dati proprietari della vostra realtà, per raggiungere i propri clienti, coinvolgerli nuovamente e trovare dei nuovi segmenti di pubblico simile. Qui un approfondimento dettagliato.

Come possiamo utilizzare al meglio questo strumento? Facciamo qualche esempio pratico!

  • Per rafforzare il rapporto con i clienti già esistenti:
    •  riservando loro una promozione o un servizio esclusivo, come ad esempio: una private sale prima dell’inizio dei saldi, un biglietto a prezzo speciale, un evento;
    • proponendo un prodotto o un servizio che potrebbe creare interesse (cross selling): un trattamento mani per una persona che ha fatto manicure, un foulard in pendant con una borsa appena acquistata, il biglietto per uno spettacolo simile, con lo stesso attore, regista, o tematica; 
    • riattivando i clienti inattivi o poco attivi, magari sfruttando qualche promozione o un’offerta appetibile;
  • Per trovare nuovi clienti simili ai tuoi migliori clienti, grazie agli interessi e comportamenti simili.

Oltre alle relazioni con i clienti, Customer Match è un indicatore importante nelle offerte automatiche, quindi permette di ottimizzare il valore delle conversioni durante ogni singola asta.

E ora qualche soluzione pratica per ottimizzare al meglio le vostre campagne utilizzando Customer Match

  • La mia realtà appartiene ad un settore competitivo e il mio budget è troppo basso: crea un elenco di pubblico simile e fai un’offerta più alta su queste persone mentre cercano le parole chiave generiche;
  • La mia azienda offre solo una soluzione di vendita una tantum: carica un elenco clienti ed escludili delle tue campagne;
  • Nella mia realtà si vendono abbonamenti o rinnovi a tempo: segmenta i tuoi clienti in gruppi in base a quanto sono lontani dal rinnovo. Attiva le campagne solo per gli elenchi con le persone prossime al rinnovo.
    Per arrivare ai prospect nuovi, crea un elenco di pubblico simile e rivolgiti a coloro che acquistano dai tuoi competitor. In questo caso dovresti mettere in evidenza le qualità della tua azienda, per quale motivo sei più giusto per loro;
  • La mia azienda ha un portale a cui gli utenti si registrano: puoi escludere del tutto l’utenza registrata, risparmiando così il budget, oppure segmentare gli utenti in gruppi più piccoli e rivolgere a loro dei messaggi specifici;
  • La mia azienda vuole vendere subito ai prospect: carica l’elenco dei clienti esistenti, escludili dalla campagna, nella campagna nuova crea un annuncio molto catchy, come, ad esempio “50% di sconto per il tuo primo acquisto”.

Quale di queste soluzioni vi sembrano più adatte alla vostra realtà? Cosa comincerete a sperimentare in primis? Siamo sempre disponibili per un confronto o un suggerimento riguardo le campagne ads.

Valeriya Kilibekova

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È il momento del marketing

La pandemia che l’Italia e il mondo hanno attraversato a partire dal 2020, e di cui stiamo ancora vivendo le conseguenze, ha portato cambiamenti fondamentali in tutti gli ambiti della nostra esistenza compresa, naturalmente, la vita culturale.

Come noto, il settore della cultura è stato tra i più colpiti dallo stop all’economia che il Coronavirus ha imposto: mostre e musei hanno dovuto interrompere la loro attività, i teatri hanno riaperto praticamente a settembre di quest’anno, anche se con delle limitazioni di posti, i festival si sono svolti in tempi ridotti, se non direttamente on-line. Questo ha portato a conseguenze negative, non solo produttive ed economiche, ma anche per quanto riguarda il pubblico. Nello spettacolo dal vivo si registra infatti un generale calo di spettatori, e ancor più di abbonati; i musei e le mostre vedono un leggero recupero, anche a causa del rinnovato flusso turistico verso l’Italia, ma si è ancora lontani dai livelli del 2019.

Molte le motivazioni alla base di questa tendenza: indubbiamente, la paura di stare, seduti o in piedi, vicino a degli sconosciuti, dopo che praticamente per due anni ci è stato detto di tenere le distanze con attenzione. Ma anche la riduzione dei posti per i teatri e il contingentamento delle entrate per i musei e, più in generale, un indubbio cambiamento delle abitudini personali e familiari: si esce, e si spende di meno e si passa più tempo libero in casa, anche per la forte crescita dei canali televisivi via satellite e in streaming. Sul calo del pubblico ha certamente influito anche il fatto che il Coronavirus ha colpito in particolare la fascia di popolazione di età medio-alta, più presente tra i frequentatori della cultura, soprattutto dello spettacolo dal vivo.

Come affrontare quindi questi problemi?

Come far ritornare il nostro pubblico “storico” e, contemporaneamente, attirare il “non pubblico”[1] e i giovani, due dei Sacri Graal più misteriosi e difficili da raggiungere della promozione culturale?

La risposta è nel Marketing: uno strumento, o meglio una serie di strumenti, presenti e attivi da anni anche nel settore della cultura, ma che vedono ancora una poco comprensibile ritrosia alla loro completa attivazione, come se questa comportasse una forzatura o, ancora peggio, una “svendita” al mercato.

Naturalmente non è così, e la nostra pluriennale esperienza in questo settore lo dimostra. Voglio qui di seguito evidenziare perciò alcune indicazioni, derivanti dalla nostra esperienza professionale, su come implementare un’attività di marketing all’interno della propria struttura culturale.

Queste indicazioni sono collegate ai 4 principali strumenti del marketing, detti “leve di marketing”, raccolti nel cosiddetto Marketing Mix: l’insieme degli strumenti che possono essere utilizzati dall’impresa nella sua attività di marketing, secondo la definizione accademica. Le leve di marketing sono appunto 4, in inglese rappresentate da 4 P, e precisamente Prodotto (Product), Prezzo (Price), Comunicazione (Promotion) e Distribuzione (Place). Vediamo alcune loro possibili declinazioni operative, a mio parere utili per il settore della cultura.

Le 4 P del marketing: Product

Nel mondo aziendale, le decisioni di marketing relative al prodotto hanno l’obiettivo di migliorarlo e adattarlo ai bisogni dei consumatori. Nella cultura questo non è pienamente possibile, essendo il prodotto frutto di una creazione artistica, e quindi per definizione poco, o per nulla modificabile. Tuttavia, si possono identificare prodotti o servizi accessori, che costituiscono declinazioni del prodotto “principale” e che hanno l’obiettivo di renderlo più vicino ai bisogni del pubblico; su questi elementi si può, e si deve lavorare. Ad esempio, i periodi e i luoghi dove si tiene un evento: la pandemia ha costretto a modificare le date e anche le location (compreso l’on-line) di molti eventi; in alcuni casi, queste nuove collocazioni si sono dimostrate più funzionali delle precedenti. Oppure, la programmazione e la calendarizzazione: quali eventi programmare, in quale ordine, in quale periodo dell’anno, con quale durata. E ancora, i servizi al pubblico propriamente detti: customer care, assistenza, personale dedicato ecc. E, soprattutto, i due prodotti per eccellenza del settore culturale, su cui si può fare davvero ancora molto: gli abbonamenti teatrali (in Italia particolarmente diffusi, rispetto ad altri Paesi) e le membership card, in particolare per i musei (su cui, invece, la strada da percorrere è ancora lunga).

Le 4 P del marketing: Price

Una leva su cui, nella cultura, c’è ancora molto da fare. Anche per l’errata abitudine di ritenere l’incasso, o il fatturato, in qualche modo accessorio rispetto alle altre fonti di finanziamento (istituzioni pubbliche, fondazioni, bandi, sponsor, ecc…). Invece, pianificare in maniera corretta un prezzo, o meglio un portafoglio di prezzi da proporre per le nostre attività, ma anche ridefinire le categorie, le riduzioni, le offerte speciali e, per i teatri, ripensare le piante delle sale in un’ottica di maggior efficienza sono tutti strumenti che, dalla nostra esperienza, possono dare un boost notevolissimo a delle entrate che, tra l’altro, sono immediate, non rateizzate come le altre che abbiamo citato.

Le 4 P del marketing: Promotion

Storico ambito di eccellenza della cultura (tra i primi settori a creare un Ufficio Stampa, ma anche a comunicare sul web e sui social, ecc…) vede ancora notevoli possibilità di sviluppo, in particolare nel digital marketing: sono molti i siti Internet non progettati in maniera efficiente per il mobile (ricordiamo che, dagli ultimi dati Audiweb, in Italia quasi il 90% della popolazione tra 18 e i 74 anni accede al web da smartphone o tablet), come pure notevoli sono le aree di miglioramento per quanto riguarda i social, sia dal punto di vista dei contenuti che per i media da attivare (ad esempio, LinkedIn e in alcuni casi TikTok possono rappresentare interessanti direzioni di sviluppo). In ogni caso, il settore culturale appare ancora legato a logiche di comunicazione e di gestione del budget decisamente poco efficienti.

Le 4 P del marketing: Place

Anche in questo caso, la cultura è stata, già dalla fine degli anni ’90, tra i primi settori a introdurre la vendita di biglietti on-line, appoggiandosi in genere a sistemi di biglietteria esterni. In oltre 20 anni, però, la situazione non appare particolarmente mutata: i link alla vendita sui siti sono spesso poco visibili o accessibili solo da aree “riservate”, gli stessi sistemi di biglietteria sono in molti casi arretrati e poco flessibili, poco lo spazio dedicato a servizi a valore aggiunto, promozioni, offerte speciali, … Come pure, occorrerebbe implementare nuovi sistemi di vendita, ad esempio sportelli automatici, app, ecc…

In questo momento post-pandemico, dove stiamo capendo progressivamente cosa, di quello che sappiamo fare, funziona ancora e cosa, invece, dobbiamo sperimentare e validare, anche le strategie di promozione del pubblico devono necessariamente cambiare. E questo si può fare solo con un approccio ragionato al marketing e ai suoi strumenti, per gettare le basi per un futuro più solido e duraturo.


[1] Persone che hanno caratteristiche coincidenti con quelle del pubblico delle attività culturali, che però non le seguono.

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On the internet, in the internet

Ne abbiamo letto ovunque e finalmente oggi tocca a noi dire la nostra: parliamo della novità lanciata da Facebook, il Metaverso!

Anzitutto, dopo tutti questi titoli da clickbait, facciamo un po’ di chiarezza: no, Facebook non cambia nome. Il nome che cambierà è quello dell’intera holding che gestisce Facebook, WhatsApp e Instagram, passando da Facebook inc. a Meta Platforms inc.

Il 28 ottobre si è tenuta l’annuale conferenza di Facebook keynote Connect, è proprio durante questa che Mark Zuckerberg ha presentato la sua ultima novità, il progetto Metaverse e non è di certo il cambio del nome della holding ad aver fatto scatenare tutto il web. La scelta di dare una svolta a Facebook è la novità, nonché una mossa intelligente per dare nuova vita a questo social, dopo le pessime news dell’ultimo periodo tra privacy e down.

Cos’è Meta?

Mark Zuckerberg ha presentato quello che probabilmente tutti ci aspettavamo ma che allo stesso tempo temevamo: il futuro del world wide web. Quali saranno i cardini di questa realtà? La socialità, il gaming e il lavoro. Un universo nuovo creato dall’unione di realtà, realtà virtuale e realtà aumentata. Un po’ come in Ready Player One, dove il mondo vive con un visore 3D sempre indossato, ma con la componente gaming meno protagonista.

novità Facebook metaverso realtà aumentata virtuale

Quello che si prospetta davanti a noi è una commistione di social networks, gaming, brand, aziende, business e soprattutto di creators. Sì, i creators. Mark Zuckerberg ha chiesto proprio a loro di cooperare e lavorare alla co-creazione dell’universo Meta. Il motivo pensiamo sia abbastanza evidente a tutti: sono loro a dettare le regole dei social, dei trend e al giorno d’oggi muovono un’economia da miliardi di dollari. I creators potranno, e secondo Zuckerberg dovranno, costruire gli spazi (o meta-spazi?) da zero, gratis o a subscription, generando introiti e facendo collaborare aziende, brand e realtà differenti con le proprie community.

Alienazione od opportunità?

Su internet abbiamo letto di tutto sul Metaverso, principalmente però abbiamo trovato critiche a questo futuro tecnologico, prevedendo una sempre maggiore alienazione delle persone. Proprio per questo, prima di scrivere la nostra opinione, ci sembrava opportuno aspettare per darvi delle informazioni non superficiali, ma complete con una visione a 360°

Per prima cosa, perché alienazione? Un nuovo metodo comunicativo e di interazione non significa per forza isolamento, può significare opportunità e amplificazione dei contatti, sicuramente non fisici, ma non meno importanti o unici. 

Cosa si potrà fare? Avere un avatar, allenarsi, uscire con gli amici, giocare con la famiglia, andare ad una mostra, organizzare un meeting aziendale o, perché no, visitare una città dall’altra parte del mondo.

Gli spazi verranno arredati con mobili virtuali, le boutique venderanno abiti per il tuo avatar e indosserai scarpe digitali. Proprio questa settimana Nike ha subito colto l’occasione, proponendo di applicare i propri marchi registrati anche nel mondo virtuale. 

Non saremo più on the internet, ma in the internet.

Se si pensa al mondo della cultura e a quanto il digitale non abbia funzionato durante il lockdown, questa realtà potrebbe veramente rappresentare una svolta. Non verrebbe a mancare l’emozione della visita “dal vivo” perché la realtà artificiale e aumentata combinate insieme consentirebbero di far percepire agli utenti delle pure e realistiche emozioni.

 Rapportiamo sempre il virtuale con il finto, invece di pensare che l’artificiale non escluda a prescindere il valore emozionale delle esperienze.

Che il digitale e la realtà virtuale non debbano rimpiazzare la realtà è ovvio, dovremo utilizzare Meta come uno strumento, non farlo diventare la nostra unica via. Detto questo, siamo sicuramente curiosi di conoscere ogni risvolto di questa nuova dimensione e scoprirne ogni segreto!

Ilaria Sibella

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Brunch d’arte: ritorna la versione estiva di #ProfiliTalk


Questa settimana ritorna #ProfiliTalk, il format online che abbiamo creato durante il primo lockdown per intervistare i professionisti della comunicazione.

#ProfiliTalk ritorna però in una versione estiva e con un focus sui musei e i poli espositivi. Ecco che nasce la nuova rubrica Brunch d’arte, una serie di dirette e interviste ai manager delle realtà museali, al fine di stimolare un confronto sul presente e sul futuro della cultura.

Di cosa parleremo?
Al centro dell’attenzione ci saranno musei e poli espositivi. Insieme ai professionisti culturali capiremo quali sono i “segreti” e le best practice della comunicazione per i musei, come ripartire dopo il lockdown e su cosa puntare per la ripartenza.

Dove saranno le dirette?
Sui nostri profili social FacebookYouTube e LinkedIn.

Quando?
Giovedì 22 e 29 luglio, dalle ore 12.30 alle 13.15.

Durante le live potrai commentare, fare domande e interagire con i professionisti in diretta.

Ospiti della puntata di giovedì 22 luglio:

Cesare Biasini Selvaggi (Roma, 1977) è un manager culturale, curatore indipendente e giornalista pubblicista. Dal 2017 è direttore editoriale del gruppo Exibartlab, delle testate exibart.com, exibart.onpaper ed exibart.tv dedicate alla ricerca e all’informazione sulle arti contemporanee in Italia e all’estero.

Co-founder dello studio professionale Barbara&Cesare di base a Roma, specializzato in comunicazione e marketing strategico per le imprese culturali e creative, è attualmente co-ideatore (con Andrea Maulini) del corso digitale di Web marketing della cultura e di Social media marketing della cultura (Fondazione OELLE Academy).

Giovanni Tarpani vive a Perugia. Nella sua vita ha avuto tre grandi passioni che si sono spesso incrociate con il lavoro quotidiano: l’impegno civile, l’organizzazione culturale, la comunicazione come valorizzazione territoriale. Difficile stabilire una gerarchia tra questi elementi, a volte è stato più semplice vedere una alchimia tra di loro nei risultati ottenuti negli anni. Dal 1995 al 2000 Assessore alla cultura del Comune di Perugia, successivamente Segretario Generale della Fondazione Umbria Jazz. In questa veste ha curato numerosi progetti all’estero. Come funzionario della Regione Umbria ha svolto un ruolo nella comunicazione pubblica istituzionale producendo diversi progetti che hanno avuto come finalità lo sviluppo di una strategia di branding territoriale. Ha scritto il libro “Branding Regione” edito dalla RED edizioni.

 Ospiti della puntata di giovedì 29 luglio:

Cristiana Mapelli, giornalista, ufficio stampa e comunicatrice culturale.
Classe 1980, nata nelle Marche ma vive a Perugia. Giornalista collaboratrice de Il Messaggero, “racconta storie”, ufficio stampa esperta nella comunicazione culturale e turistica, direttore responsabile del Magazine Real Umbria. Insieme ad Elisa Giulietti nell’anno del COVID ha fondato Gran Tour Perugia: società specializzata nella creazione di contenuti culturali a supporto di visitatori e turisti. Ovvero portare a spasso le persone invitandole a guardare la città da un punto di vista insolito e, soprattutto, con il naso all’insù.

Christian Gangitano (detto Chris Gangitano), milanese, nato nel 1972. 
Direttore Creativo, Curatore d’arte indipendente. 
Specializzato in street art e arte neo pop, per la rigenerazione urbana. Ha creato la street art gallery di Nolo sui muri di un quartiere divenuto modello cittadino di coesione sociale e rigenerazione territoriale.
Coordinatore dell’ Associazione Atelier Spazio Xpò, associazione non profit dal 2006, network di artisti italiani e internazionali. Ha organizzato le prime mostre e iniziative pubbliche di “street art” in Italia, già dalla fine degli anni ’90.

Ha curato l’iconografia del libro “le strade Parlano” una storia d’italia scritta sui muri, di Marco Imarisio, edizioni Rizzoli 2019 e “sono io Amleto” di Achille Lauro, edizioni Rizzoli 2018.

Scrive per la rivista d’arte “Arte In magazine”.

Co-fondatore e membro dell’ATS Casa degli Artisti , di Corso Garibaldi – Moscova dove, tra l’altro, coordina progetti di rigenerazione urbana in relazione ai quartieri della città.

Glenda Giampaoli, Direttrice Museale e Antropologa Tessile.
Sono un’antropologa tessile, Direttore del Museo della Canapa di Sant’Anatolia di Narco. Mi sono diplomata presso la Scuola di Specializzazione in Beni demoetnoantropologici dell’Università degli Studi di Perugia e nel settore tessile ho conseguito il diploma in Analyse des textiles anciens et aux technique de tissage presso il CIETA di Lione.

Ho concentrato le mie ricerche sui temi relativi all’expografia museale e sulla patrimonializzazione dei manufatti tessili in contesti museali.


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Aggiornamento del libro “Comunicare la cultura, oggi”

Andrea Maulini insieme a tutto il team di Profili sta revisionando il suo libro “Comunicare la cultura, oggi” edito da Editrice Bibliografica. Per scoprire gli aggiornamenti in corso, restate connessi!

A presto