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È il momento del marketing

La pandemia che l’Italia e il mondo hanno attraversato a partire dal 2020, e di cui stiamo ancora vivendo le conseguenze, ha portato cambiamenti fondamentali in tutti gli ambiti della nostra esistenza compresa, naturalmente, la vita culturale.

Come noto, il settore della cultura è stato tra i più colpiti dallo stop all’economia che il Coronavirus ha imposto: mostre e musei hanno dovuto interrompere la loro attività, i teatri hanno riaperto praticamente a settembre di quest’anno, anche se con delle limitazioni di posti, i festival si sono svolti in tempi ridotti, se non direttamente on-line. Questo ha portato a conseguenze negative, non solo produttive ed economiche, ma anche per quanto riguarda il pubblico. Nello spettacolo dal vivo si registra infatti un generale calo di spettatori, e ancor più di abbonati; i musei e le mostre vedono un leggero recupero, anche a causa del rinnovato flusso turistico verso l’Italia, ma si è ancora lontani dai livelli del 2019.

Molte le motivazioni alla base di questa tendenza: indubbiamente, la paura di stare, seduti o in piedi, vicino a degli sconosciuti, dopo che praticamente per due anni ci è stato detto di tenere le distanze con attenzione. Ma anche la riduzione dei posti per i teatri e il contingentamento delle entrate per i musei e, più in generale, un indubbio cambiamento delle abitudini personali e familiari: si esce, e si spende di meno e si passa più tempo libero in casa, anche per la forte crescita dei canali televisivi via satellite e in streaming. Sul calo del pubblico ha certamente influito anche il fatto che il Coronavirus ha colpito in particolare la fascia di popolazione di età medio-alta, più presente tra i frequentatori della cultura, soprattutto dello spettacolo dal vivo.

Come affrontare quindi questi problemi?

Come far ritornare il nostro pubblico “storico” e, contemporaneamente, attirare il “non pubblico”[1] e i giovani, due dei Sacri Graal più misteriosi e difficili da raggiungere della promozione culturale?

La risposta è nel Marketing: uno strumento, o meglio una serie di strumenti, presenti e attivi da anni anche nel settore della cultura, ma che vedono ancora una poco comprensibile ritrosia alla loro completa attivazione, come se questa comportasse una forzatura o, ancora peggio, una “svendita” al mercato.

Naturalmente non è così, e la nostra pluriennale esperienza in questo settore lo dimostra. Voglio qui di seguito evidenziare perciò alcune indicazioni, derivanti dalla nostra esperienza professionale, su come implementare un’attività di marketing all’interno della propria struttura culturale.

Queste indicazioni sono collegate ai 4 principali strumenti del marketing, detti “leve di marketing”, raccolti nel cosiddetto Marketing Mix: l’insieme degli strumenti che possono essere utilizzati dall’impresa nella sua attività di marketing, secondo la definizione accademica. Le leve di marketing sono appunto 4, in inglese rappresentate da 4 P, e precisamente Prodotto (Product), Prezzo (Price), Comunicazione (Promotion) e Distribuzione (Place). Vediamo alcune loro possibili declinazioni operative, a mio parere utili per il settore della cultura.

Le 4 P del marketing: Product

Nel mondo aziendale, le decisioni di marketing relative al prodotto hanno l’obiettivo di migliorarlo e adattarlo ai bisogni dei consumatori. Nella cultura questo non è pienamente possibile, essendo il prodotto frutto di una creazione artistica, e quindi per definizione poco, o per nulla modificabile. Tuttavia, si possono identificare prodotti o servizi accessori, che costituiscono declinazioni del prodotto “principale” e che hanno l’obiettivo di renderlo più vicino ai bisogni del pubblico; su questi elementi si può, e si deve lavorare. Ad esempio, i periodi e i luoghi dove si tiene un evento: la pandemia ha costretto a modificare le date e anche le location (compreso l’on-line) di molti eventi; in alcuni casi, queste nuove collocazioni si sono dimostrate più funzionali delle precedenti. Oppure, la programmazione e la calendarizzazione: quali eventi programmare, in quale ordine, in quale periodo dell’anno, con quale durata. E ancora, i servizi al pubblico propriamente detti: customer care, assistenza, personale dedicato ecc. E, soprattutto, i due prodotti per eccellenza del settore culturale, su cui si può fare davvero ancora molto: gli abbonamenti teatrali (in Italia particolarmente diffusi, rispetto ad altri Paesi) e le membership card, in particolare per i musei (su cui, invece, la strada da percorrere è ancora lunga).

Le 4 P del marketing: Price

Una leva su cui, nella cultura, c’è ancora molto da fare. Anche per l’errata abitudine di ritenere l’incasso, o il fatturato, in qualche modo accessorio rispetto alle altre fonti di finanziamento (istituzioni pubbliche, fondazioni, bandi, sponsor, ecc…). Invece, pianificare in maniera corretta un prezzo, o meglio un portafoglio di prezzi da proporre per le nostre attività, ma anche ridefinire le categorie, le riduzioni, le offerte speciali e, per i teatri, ripensare le piante delle sale in un’ottica di maggior efficienza sono tutti strumenti che, dalla nostra esperienza, possono dare un boost notevolissimo a delle entrate che, tra l’altro, sono immediate, non rateizzate come le altre che abbiamo citato.

Le 4 P del marketing: Promotion

Storico ambito di eccellenza della cultura (tra i primi settori a creare un Ufficio Stampa, ma anche a comunicare sul web e sui social, ecc…) vede ancora notevoli possibilità di sviluppo, in particolare nel digital marketing: sono molti i siti Internet non progettati in maniera efficiente per il mobile (ricordiamo che, dagli ultimi dati Audiweb, in Italia quasi il 90% della popolazione tra 18 e i 74 anni accede al web da smartphone o tablet), come pure notevoli sono le aree di miglioramento per quanto riguarda i social, sia dal punto di vista dei contenuti che per i media da attivare (ad esempio, LinkedIn e in alcuni casi TikTok possono rappresentare interessanti direzioni di sviluppo). In ogni caso, il settore culturale appare ancora legato a logiche di comunicazione e di gestione del budget decisamente poco efficienti.

Le 4 P del marketing: Place

Anche in questo caso, la cultura è stata, già dalla fine degli anni ’90, tra i primi settori a introdurre la vendita di biglietti on-line, appoggiandosi in genere a sistemi di biglietteria esterni. In oltre 20 anni, però, la situazione non appare particolarmente mutata: i link alla vendita sui siti sono spesso poco visibili o accessibili solo da aree “riservate”, gli stessi sistemi di biglietteria sono in molti casi arretrati e poco flessibili, poco lo spazio dedicato a servizi a valore aggiunto, promozioni, offerte speciali, … Come pure, occorrerebbe implementare nuovi sistemi di vendita, ad esempio sportelli automatici, app, ecc…

In questo momento post-pandemico, dove stiamo capendo progressivamente cosa, di quello che sappiamo fare, funziona ancora e cosa, invece, dobbiamo sperimentare e validare, anche le strategie di promozione del pubblico devono necessariamente cambiare. E questo si può fare solo con un approccio ragionato al marketing e ai suoi strumenti, per gettare le basi per un futuro più solido e duraturo.


[1] Persone che hanno caratteristiche coincidenti con quelle del pubblico delle attività culturali, che però non le seguono.

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On the internet, in the internet

Ne abbiamo letto ovunque e finalmente oggi tocca a noi dire la nostra: parliamo della novità lanciata da Facebook, il Metaverso!

Anzitutto, dopo tutti questi titoli da clickbait, facciamo un po’ di chiarezza: no, Facebook non cambia nome. Il nome che cambierà è quello dell’intera holding che gestisce Facebook, WhatsApp e Instagram, passando da Facebook inc. a Meta Platforms inc.

Il 28 ottobre si è tenuta l’annuale conferenza di Facebook keynote Connect, è proprio durante questa che Mark Zuckerberg ha presentato la sua ultima novità, il progetto Metaverse e non è di certo il cambio del nome della holding ad aver fatto scatenare tutto il web. La scelta di dare una svolta a Facebook è la novità, nonché una mossa intelligente per dare nuova vita a questo social, dopo le pessime news dell’ultimo periodo tra privacy e down.

Cos’è Meta?

Mark Zuckerberg ha presentato quello che probabilmente tutti ci aspettavamo ma che allo stesso tempo temevamo: il futuro del world wide web. Quali saranno i cardini di questa realtà? La socialità, il gaming e il lavoro. Un universo nuovo creato dall’unione di realtà, realtà virtuale e realtà aumentata. Un po’ come in Ready Player One, dove il mondo vive con un visore 3D sempre indossato, ma con la componente gaming meno protagonista.

novità Facebook metaverso realtà aumentata virtuale

Quello che si prospetta davanti a noi è una commistione di social networks, gaming, brand, aziende, business e soprattutto di creators. Sì, i creators. Mark Zuckerberg ha chiesto proprio a loro di cooperare e lavorare alla co-creazione dell’universo Meta. Il motivo pensiamo sia abbastanza evidente a tutti: sono loro a dettare le regole dei social, dei trend e al giorno d’oggi muovono un’economia da miliardi di dollari. I creators potranno, e secondo Zuckerberg dovranno, costruire gli spazi (o meta-spazi?) da zero, gratis o a subscription, generando introiti e facendo collaborare aziende, brand e realtà differenti con le proprie community.

Alienazione od opportunità?

Su internet abbiamo letto di tutto sul Metaverso, principalmente però abbiamo trovato critiche a questo futuro tecnologico, prevedendo una sempre maggiore alienazione delle persone. Proprio per questo, prima di scrivere la nostra opinione, ci sembrava opportuno aspettare per darvi delle informazioni non superficiali, ma complete con una visione a 360°

Per prima cosa, perché alienazione? Un nuovo metodo comunicativo e di interazione non significa per forza isolamento, può significare opportunità e amplificazione dei contatti, sicuramente non fisici, ma non meno importanti o unici. 

Cosa si potrà fare? Avere un avatar, allenarsi, uscire con gli amici, giocare con la famiglia, andare ad una mostra, organizzare un meeting aziendale o, perché no, visitare una città dall’altra parte del mondo.

Gli spazi verranno arredati con mobili virtuali, le boutique venderanno abiti per il tuo avatar e indosserai scarpe digitali. Proprio questa settimana Nike ha subito colto l’occasione, proponendo di applicare i propri marchi registrati anche nel mondo virtuale. 

Non saremo più on the internet, ma in the internet.

Se si pensa al mondo della cultura e a quanto il digitale non abbia funzionato durante il lockdown, questa realtà potrebbe veramente rappresentare una svolta. Non verrebbe a mancare l’emozione della visita “dal vivo” perché la realtà artificiale e aumentata combinate insieme consentirebbero di far percepire agli utenti delle pure e realistiche emozioni.

 Rapportiamo sempre il virtuale con il finto, invece di pensare che l’artificiale non escluda a prescindere il valore emozionale delle esperienze.

Che il digitale e la realtà virtuale non debbano rimpiazzare la realtà è ovvio, dovremo utilizzare Meta come uno strumento, non farlo diventare la nostra unica via. Detto questo, siamo sicuramente curiosi di conoscere ogni risvolto di questa nuova dimensione e scoprirne ogni segreto!

Ilaria Sibella

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Brunch d’arte: ritorna la versione estiva di #ProfiliTalk


Questa settimana ritorna #ProfiliTalk, il format online che abbiamo creato durante il primo lockdown per intervistare i professionisti della comunicazione.

#ProfiliTalk ritorna però in una versione estiva e con un focus sui musei e i poli espositivi. Ecco che nasce la nuova rubrica Brunch d’arte, una serie di dirette e interviste ai manager delle realtà museali, al fine di stimolare un confronto sul presente e sul futuro della cultura.

Di cosa parleremo?
Al centro dell’attenzione ci saranno musei e poli espositivi. Insieme ai professionisti culturali capiremo quali sono i “segreti” e le best practice della comunicazione per i musei, come ripartire dopo il lockdown e su cosa puntare per la ripartenza.

Dove saranno le dirette?
Sui nostri profili social FacebookYouTube e LinkedIn.

Quando?
Giovedì 22 e 29 luglio, dalle ore 12.30 alle 13.15.

Durante le live potrai commentare, fare domande e interagire con i professionisti in diretta.

Ospiti della puntata di giovedì 22 luglio:

Cesare Biasini Selvaggi (Roma, 1977) è un manager culturale, curatore indipendente e giornalista pubblicista. Dal 2017 è direttore editoriale del gruppo Exibartlab, delle testate exibart.com, exibart.onpaper ed exibart.tv dedicate alla ricerca e all’informazione sulle arti contemporanee in Italia e all’estero.

Co-founder dello studio professionale Barbara&Cesare di base a Roma, specializzato in comunicazione e marketing strategico per le imprese culturali e creative, è attualmente co-ideatore (con Andrea Maulini) del corso digitale di Web marketing della cultura e di Social media marketing della cultura (Fondazione OELLE Academy).

Giovanni Tarpani vive a Perugia. Nella sua vita ha avuto tre grandi passioni che si sono spesso incrociate con il lavoro quotidiano: l’impegno civile, l’organizzazione culturale, la comunicazione come valorizzazione territoriale. Difficile stabilire una gerarchia tra questi elementi, a volte è stato più semplice vedere una alchimia tra di loro nei risultati ottenuti negli anni. Dal 1995 al 2000 Assessore alla cultura del Comune di Perugia, successivamente Segretario Generale della Fondazione Umbria Jazz. In questa veste ha curato numerosi progetti all’estero. Come funzionario della Regione Umbria ha svolto un ruolo nella comunicazione pubblica istituzionale producendo diversi progetti che hanno avuto come finalità lo sviluppo di una strategia di branding territoriale. Ha scritto il libro “Branding Regione” edito dalla RED edizioni.

 Ospiti della puntata di giovedì 29 luglio:

Cristiana Mapelli, giornalista, ufficio stampa e comunicatrice culturale.
Classe 1980, nata nelle Marche ma vive a Perugia. Giornalista collaboratrice de Il Messaggero, “racconta storie”, ufficio stampa esperta nella comunicazione culturale e turistica, direttore responsabile del Magazine Real Umbria. Insieme ad Elisa Giulietti nell’anno del COVID ha fondato Gran Tour Perugia: società specializzata nella creazione di contenuti culturali a supporto di visitatori e turisti. Ovvero portare a spasso le persone invitandole a guardare la città da un punto di vista insolito e, soprattutto, con il naso all’insù.

Christian Gangitano (detto Chris Gangitano), milanese, nato nel 1972. 
Direttore Creativo, Curatore d’arte indipendente. 
Specializzato in street art e arte neo pop, per la rigenerazione urbana. Ha creato la street art gallery di Nolo sui muri di un quartiere divenuto modello cittadino di coesione sociale e rigenerazione territoriale.
Coordinatore dell’ Associazione Atelier Spazio Xpò, associazione non profit dal 2006, network di artisti italiani e internazionali. Ha organizzato le prime mostre e iniziative pubbliche di “street art” in Italia, già dalla fine degli anni ’90.

Ha curato l’iconografia del libro “le strade Parlano” una storia d’italia scritta sui muri, di Marco Imarisio, edizioni Rizzoli 2019 e “sono io Amleto” di Achille Lauro, edizioni Rizzoli 2018.

Scrive per la rivista d’arte “Arte In magazine”.

Co-fondatore e membro dell’ATS Casa degli Artisti , di Corso Garibaldi – Moscova dove, tra l’altro, coordina progetti di rigenerazione urbana in relazione ai quartieri della città.

Glenda Giampaoli, Direttrice Museale e Antropologa Tessile.
Sono un’antropologa tessile, Direttore del Museo della Canapa di Sant’Anatolia di Narco. Mi sono diplomata presso la Scuola di Specializzazione in Beni demoetnoantropologici dell’Università degli Studi di Perugia e nel settore tessile ho conseguito il diploma in Analyse des textiles anciens et aux technique de tissage presso il CIETA di Lione.

Ho concentrato le mie ricerche sui temi relativi all’expografia museale e sulla patrimonializzazione dei manufatti tessili in contesti museali.


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comunicazione digital marketing influencer marketing

Abbecedario delle pubbliche relazioni digitali

Le relazioni pubbliche sono da sempre uno strumento strategico di creazione del valore, attualmente affiancate e spesso sostenute (se non addirittura sostituite) da quelle digitali. 

Il core delle digital PR risiede nell’interlocutore, spesso un influencer, un blogger, un vlogger, una redazione digitale, a cui viene inviato del materiale web che (allo stesso modo dei comunicati stampa) proponga una narrazione, un prodotto, un’esperienza. Un lavoro di grande passione e professionalità, che proveremo a sintetizzare per parole chiave:

Addetto alle pubbliche relazioni 🡪  il responsabile del rapporto tra la reputazione aziendale e la reazione del target di riferimento.

Brand Identity 🡪 elementi comunicativi che definiscono la reputazione di un’azienda, ovvero come questa viene percepita dal pubblico. Rappresenta il faro di ciascun PR.

Cliente 🡪 Il dialogo con il cliente è indispensabile: bisogna condividere con lui obiettivi e budget, identificando una strategia di intervento che sia in linea con la brand identity aziendale.

Data-base 🡪 rappresenta la cassaforte di ciascun esperto di digital pr: i contatti e la costruzione della relazione con gli stessi diventano i lingotti d’oro di questa professione.

Eventi 🡪 uno degli asset principali delle pr tradizionali, possono assolutamente diventarlo anche per quelle digitali. 

Fiducia 🡪 elemento fondante della relazione tra un digital pr e l’influencer/ blogger. La fiducia è quella forza che sposta l’attenzione dei destinatari da un qualsiasi pr a me.

Gassé Jean-Luis 🡪 (sviluppatore del sistema operativo BeOS) descrive così le PR: “Advertising is saying you’re good. PR is getting someone else to say you are good.”

Hashtracking 🡪 strumento ideale per chi lavora nel mondo della cultura, in particolare se si intende realizzare un evento: attraverso un hashtag specifico, si ottengono informazioni su chi utilizza proprio quel # e su quanto è influente il blogger.

Influencer marketing 🡪 forma di marketing basata sull’influenza che alcuni soggetti esercitano sul potere d’acquisto di altri: negli anni ’90 erano i testimonial, oggi sono persone qualunque che hanno acquisito nel tempo notorietà sul web. Il cambiamento quindi è sul canale di distribuzione: ieri erano tv e giornali, oggi sono i social media.

Lingua straniera 🡪 è imprescindibile la conoscenza almeno dell’inglese in un contesto globalizzato come quello del digitale.

Mail di ingaggio 🡪 elemento fondamentale delle digital pr così come lo erano i comunicati per l’ufficio stampa tradizionale. Caratteristiche: la personalizzazione (ovvero ciascun destinatario deve ricevere una comunicazione originale e in linea con quel che fa); la trasparenza (arrivare al dunque spiegando gli obiettivi della strategia di comunicazione); la brevità (sintesi ed empatia); 

Networking 🡪  Le stanze di networking sono adatte per coinvolgere i partecipanti a confrontarsi e avviare una conversazione su un argomento specifico. Grazie alle segmentazione è anche possibile definire un target a priori, con l’obiettivo di generare delle micro tribù all’interno delle piattaforme.

Online reputation 🡪 una buon reputazione online è in grado di smuovere le vendite; dunque questo aspetto è strettamente legato alle digital pr, poiché permette ai soggetti coinvolti (blogger e influencer) di suscitare o meno l’interesse degli utenti.

Post 🡪 se quel che chiediamo a un influencer è di redarre un post, diventa fondamentale che il materiale inviato nella documentazione allegata alla mail sia facilmente reperibile e lavorabile.

Quantificare i risultati 🡪 quali? I dati di traffico al sito dell’azienda, la SERP di Google, l’andamento dei profili social, lo stato backlink del sito dell’azienda solo per citarne alcuni.

Rapidità 🡪 nella risposta a qualsiasi suggestione inviata. E’ infatti fondamentale per il rapporto di fiducia, dare un immediato seguito alle richieste di influencer o blogger che abbiano risposto ad una nostra mail, ringraziando per l’attenzione accordataci.

Social network 🡪 conoscere la reputation del brand sui social media è fondamentale. Per farlo è necessario attivare un listening e, sulla base di un obiettivo definito e in linea con la propria immagine aziendale, si sceglierà il social network più adatto per presentarsi e fare un lavoro di engagement e di interazione con il cliente.

Teads Labs 🡪 strumento utile per le classifiche relative ai blog, per la ricerca tematica e per nazione; da citare anche Followerwonk che filtra utenti e influencer con parole chiave nella bio di Twitter. 

Uragani comunicativi 🡪 uno degli esempi più eclatanti di cattiva strategia è quel che è accaduto alcuni anni fa a Visit California e TTG Italia, con il lancio dell’iniziativa “California Dream Big” allo scopo di selezionare, attraverso un contest, 10 web influencer del settore turistico per un viaggio in California. Tuttavia,  alcuni blogger hanno dichiarato di essere stati contattati in anticipo rispetto al contest: un flop assoluto.

Vlog 🡪 progetto di content marketing basato sulla sequenzialità delle pubblicazioni per creare un racconto personale, così come il blog, ma utilizzando i video.

ZERO 🡪 il tasso medio di apertura delle email varia dal 17,8% (Campaign Monitor) al 22,15% (GetResponse). Quindi per farsi notare bisogna inviare contenuti interessanti, captive e che non finiscano in quello “zero”.

Darca Stefanini

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comunicazione digital adv digital marketing formazione

Come funzionano le consulenze di marketing e comunicazione

Il Teatro Metastasio di Prato, una delle più importanti strutture teatrali del centro Italia, nella primavera 2020 ha deciso di avviare un percorso formativo allo scopo di migliorare la propria comunicazione, soprattutto digital, per renderla più efficiente e innovativa. Il percorso formativo aveva come obiettivo, oltre a rendere più coerente e strategica la comunicazione, anche quello di apportare un miglioramento delle competenze di ciascun membro del team. 

Per approcciare questo tipo di formazione che andasse a toccare sia aspetti strategici che pratici della comunicazione, Profili ha deciso di strutturare le giornate formative in moduli anche per scendere più in profondità negli argomenti con i membri dello staff del teatro che fanno parte dei diversi dipartimenti. 

Il corso è stato creato ad hoc: dopo una serie di incontri con lo staff del teatro, è stato stilato un programma che andasse incontro alle esigenze dei vari dipartimenti della struttura. Tra i numerosi argomenti che sono stati protagonisti delle lezioni, lo staff di Profili ha deciso di puntare l’attenzione su:

  • Il marketing, ossia conoscere il pubblico per costruire i prodotti più efficaci.
  • La programmazione e la calendarizzazione, le piante dei teatri, il portafoglio prezzi e abbonamenti.
  • Il piano di comunicazione, il budget, le azioni tradizionali e digital
  • Il sito web e i social media, quali social sono più adatti per comunicare il teatro, quali le specificità di ciascuno.
  • L’analisi dei dati e quindi le vendite, gli incassi, le previsioni, ma anche risultati di comunicazione, e il monitoraggio dei social.
  • Il digital advertising: Google, Facebook, Instagram come funziona la comunicazione a pagamento nel web.

La situazione in essere della comunicazione del Teatro Metastasio è stato il punto di partenza dell’analisi. Le lezioni interattive hanno permesso al team della struttura di studiare la propria strategia adottata sino a quel momento e di metterne i luce gli aspetti positivi e i punti di debolezza. 

Dopo la conclusione del corso, il team di comunicazione del Teatro Metastasio ha iniziato un percorso di “ristrutturazione” della propria strategia di comunicazione andando a correggere i punti deboli e dando maggiore risalto ai punti di forza della propria comunicazione. La nuova strategia ha dato sin da subito dei frutti in termini di visibilità (con un aumento della copertura sui social network) e di coinvolgimento da parte degli utenti (con l’aumento dell’engagement).

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digital marketing marketing

Marca e Marketing, le armi del B2B

C’è una definizione che mi ha colpito per la semplicità e l’immediatezza con la quale esprime il concetto di marca: brand vuol dire prendere qualcosa di comune, allo scopo di migliorarlo, in modo che acquisti significato e venga valorizzato (S. Bedbury, 2002).

Questa definizione ci spiega, senza fare distinzioni tra mercato b2b o b2c, come un qualsiasi prodotto o servizio possa assumere un valore superiore alle sue reali qualità. Un prodotto/servizio inteso nella sua accezione più ampia, dalla lattina di una bevanda zuccherata ad una seggiola da cucina, fino ad un software gestionale, ha bisogno di acquisire fedeltà, migliorare la sua reputazione e trasformarsi in una richiesta da parte del cliente.
Creare una marca che abbia, quindi, tutti gli attributi per essere solida ha un enorme peso negli equilibri generali di un’azienda, perché diventa una garanzia di qualità, di performance del prodotto oltre che di differenziazione dalla concorrenza.

Ancora di più nel Business to Business. È recente, infatti, il cambio di visione che il settore b2b ha adottato riguardo a come approcciarsi al proprio target. 

In passato si era convinti che priorità e modalità di azione di un’azienda b2b richiedessero di concentrare la propria attenzione nel massimizzare le transazioni commerciali tra imprese, mentre nel settore b2c la priorità fosse quella di “puntare” al consumatore finale. 

Questa visione errata ha portato a sottovalutare la centralità della costruzione della marca come elemento primario anche nella definizione dell’offerta nel commercio business to business. La scelta è ricaduta sulla più facile e diretta delle strategie da adottare: puntare su di una politica di forte vocazione alle vendite, mettendo nelle mani del sales department l’onere, più che l’onore, di fare crescere l’azienda sfruttando la propria personale capacità relazionale e di performance, relegando il reparto marketing quasi ad un ruolo di “sparring partner”. Il marketing doveva, in pratica, svolgere la sola mansione di supporto al settore commerciale, in un’ottica di breve periodo che poteva dare risposte più o meno concrete alla proprietà ma che, in una logica di costruzione di solidità aziendale, non garantiva alcuna stabilità; al contrario, portava l’azienda ad essere sempre più in balia dei trend di mercato e della volatilità dell’offerta.

marketing b2b

Costruire il valore di un brand rappresenta invece la possibilità di stabilizzare le performance di vendita e determinare le fondamenta su cui l’azienda potrà vivere negli anni futuri, dando la possibilità di programmare investimenti a medio/lungo periodo.

Andando ad analizzare più in profondità il settore b2b, sono molteplici le incognite che si frappongono e allungano i tempi per raggiungere i budget di vendita: i tempi per prendere le decisioni sono più lunghi del b2c, gli attori che possono intervenire sono molteplici, le informazioni che devono essere prodotte a supporto della vendita sono molte, gli aspetti funzionali relativi ai prodotti o ai servizi che devono essere comunicati sono più numerosi che nel mercato b2c.

Il cambiamento a cui la digital transformation sta conducendo il settore b2b cela al suo interno una serie di aspetti su cui riflettere. I processi di acquisto a cui le aziende fanno riferimento per attrarre i buyers industriali, ad esempio, si svolgono attraverso un customer journey nuovo, diverso da quello che è stato il campo da gioco in cui le aziende si sono mosse per molto tempo. Inoltre, nell’ultimo periodo la situazione pandemica ha accelerato con decisione la consapevolezza, da parte dei buyers, del potere della relazione digitale.

L’elemento che più di ogni altro ha cambiato le regole del gioco è il valore che ha acquistato il fattore di “anteriorità” dell’informazione verso le aziende e le loro offerte. Sempre più, infatti, la vendita si struttura prima che il venditore e il compratore si incontrino per conoscersi. Il raggiungimento di una brand equity solida, attraverso un’azione di comunicazione che parta dalla costruzione di un percorso di brand awareness consapevole e strutturato, è quindi essenziale per poter esprimere tutto il potenziale di un’azienda.

Conoscere bene il proprio interlocutore, capire le sue necessità, intercettare i suoi bisogni fino ad anticiparli diventa quindi cruciale e prioritario.

Marketing e vendite, oggi più che mai, devono quindi dialogare a strettissimo contatto e integrarsi, per esprimere al meglio gli attributi della propria offerta. 

Il brand assume il ruolo di artefice nella semplificazione dei processi decisionali e nella riduzione del rischio percepito. Avere cura del proprio brand non è perciò solo indice di una visione a lungo termine ma rappresenta il modo migliore per portare avanti un’azione concreta di sales activation.

Dino Piccinelli

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La creatività vista da Arnaldo Mangini

Cos’è la creatività? Chi è creativo e chi può essere considerato tale? Che differenza c’è tra un creativo e un artista? E’ complicato rispondere senza fare le dovute riflessioni. La parola creativo è uno dei termini più inflazionati degli ultimi tempi. Tanti si riconoscono in questa definizione. Effettivamente tutti siamo creativi. L’uomo per definizione è un creativo, uno sperimentatore, un essere che si spinge oltre i suoi limiti per scoprire cose nuove. Con l’avvento dei social media la definizione di creativo caratterizza quella moltitudine di influencer o aspiranti tali che riempiono le piattaforme di contenuti. Chi lo fa di professione associa alla creatività di contenuti la promozione di prodotti commerciali. Quindi spesso nei social la creatività è strettamente legata a fini economici.

Io non mi sono mai definito un creativo, né ho mai pensato di rientrare in questa definizione. Piuttosto mi sono sempre riconosciuto nella definizione di artista in quanto la mia professione principale è quella di attore comico specializzato nella clownerie. Dopo il successo sulla piattaforma di Tik Tok sono entrato anch’io nella definizione di creativo. Ma qual è allora la differenza tra artista e creativo? Che cosa è cambiato dalla mia vita professionale precedente?
Il creativo per quello che riguarda i social media non è solo chi crea contenuti, è colui che conosce e capisce lo strumento, in questo caso il mezzo di comunicazione, e lo utilizza per comunicare o per trasmettere qualcosa riuscendo spesso ad essere virale.
Per quello che riguarda Facebook un esempio di pagina creativa è la Taffo Funeral Services, per Instagram la nota Chiara Ferragni. Entrambi creano contenuti che su quelle piattaforme funzionano e attirano sempre più nuovi follower ad interagire con loro.

Ph. Cristian Storto

La stessa dinamica è accaduta sui miei profili social, in particolare su Tik Tok. Questa piattaforma si è rivelata il mezzo ideale attraverso il quale i miei contenuti diventano virali. Vuoi perché la mia esperienza nel campo dell’intrattenimento conta parecchi anni, vuoi perché sono abituato ad interagire con qualsiasi persona grazie al linguaggio universale della clownerie, oppure vuoi per la mia volontà di mettermi in gioco.

La sfida più difficile è far coincidere l’artista con il creativo, riuscire a racchiudere in quella manciata di secondi un messaggio che stimoli un’idea o un’emozione. Non è facile essere così sintetici e suggestivi, ma studiare arte ti insegna quanto sia indispensabile eliminare il superfluo.

Essere creativo per me vuol dire saper creare qualcosa a partire da sé stessi, sapendosi contaminare con l’attualità. Riuscire a parlare il linguaggio contemporaneo. Essere ispirati ed avere gli strumenti per esternare quel materiale interiore che si trova allo stato grezzo e che deve diventare qualcos’altro. Come un diamante che deve essere lavorato per poter acquistare un certo valore.
Importante è non pensare al risultato ma riuscire a stare nel processo creativo tutti i giorni con costanza, senza bramare il successo.

Personalmente per favorire questo processo giro sempre con un piccolo quaderno su cui annotare le idee che mi vengono in mente. La mattina registro i video per i social, mentre la sera mi dedico più ad altre mie attività, come la pittura o la scrittura. Ma non c’è un orario preciso in cui la creatività bussa alla porta, bisogna essere sempre pronti. Alle volte quando arriva lo stimolo esterno giusto, l’idea giusta e il momento giusto, si crea una sorta di alchimia e allora può accadere la magia che in molti chiamano creatività.

Arnaldo Mangini

Arnaldo Mangini è un attore comico di teatro/ clown italiano e content creator. La sua carriera artistica inizia negli anni ’90: Arnaldo partecipa a numerose trasmissioni televisive Rai, Mediaset e Sky anche nel ruolo di presentatore. Nei successivi anni di lavoro approfondisce la conoscenza della clownerie e lascia gli studi televisivi per abbracciare il mondo del teatro portando in giro per l’Europa lo spettacolo “The Arnaldo Mangini MrBean lookalike Show”. Da questo momento in poi la formazione artistica matura grazie allo studio, mai interrotto, che lo porta a frequentare alcuni dei più importanti clown della scena internazionale, come Leo Bassi, David Shiner e altri.

Oggi Arnaldo integra show offline e online, grazie alla stand-up comedy basata ampiamente sul linguaggio del corpo. Oltre alle numerose tournée internazionali, si è posizionato come content creator sui principali social media quali Instagram, YouTube e TikTok raggiungendo numeri di primo livello in poco tempo (+ 12 Milioni di fan).

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Che cos’è lo storytelling e come si costruisce una strategia narrativa

Negli ultimi anni stiamo assistendo a una sempre maggiore insistenza della comunicazione nelle nostre vite: una profusione di informazioni e contenuti che, almeno fino al 27 febbraio 2020, avevamo imparato a definire, iscrivendoli in format e media narrativi. Come scrive Andrea Fontana (sociologo della comunicazione e dei media narrativi e Premio Curcio alla cultura 2015), oggi le storie sono dappertutto, dalle video-novel di YouTube alle Instagram Stories, dalle narrazioni di marca al brand journalism, dagli spazi urbani alle piattaforme espanse.

A cui io aggiungerei, molto più banalmente: le foto, i testi, gli hashtag, i blog, i podcast, le playlist Spotify, i tormentoni TikTok e le board Pinterest: tutto quello insomma che va a comporre un immaginario di marca e non solo. Persino me stessa, le mie scelte di consumo, la mia proposta di un cinema agli amici, i gruppi virtuali, il mio lavoro con i teatri si sostanzia grazie alla mia narrazione che prova a convincere e a motivare oltre che a rappresentare la mia realtà.

E se è vero che l’essere umano è fatto di narrazione, se è vero che raccontarsi rappresenta uno degli slanci emotivi più naturali e che l’evoluzione umana passa anche attraverso la trasmissione di un sapere, mi affido allora alle parole sapienti di Alessandro Baricco: “Era un modo di stare al mondo, era il mondo della civiltà greca: anche i fatti più grandi che tu potevi fare accadere nel mondo non erano nulla se tu non riuscivi a cucirli dentro il tessuto di una narrazione che era più grande di te. Orfano di una storia potevi essere un combattente pazzesco, ma eri orfano della realtà. Si costruivano la realtà che abitavano, e la realtà era fatta di ciò che potevano fare e della narrazione dove appoggiavano quello che potevano fare. Questo ci hanno insegnato i padri dei nostri padri.” La realtà, dunque, passa attraverso il racconto della stessa: la costruiamo e in qualche modo ne veniamo influenzati, assoggettati, persuasi.

Con la pandemia siamo addirittura andati oltre: è oramai chiaro a tutti quanto la schizofrenia comunicativa, che sta caratterizzando la diffusione delle informazioni dallo scorso giugno 2020 e si sostanzia con la costante “rottura” delle promesse, stia generando un fortissimo disagio sociale, che potrebbe essere ridotto ripristinando comunicazione politica coerente, in grado di mantenere le promesse e renderci tutti più consapevoli.

Che in fin dei conti, è un po’ questo il senso del nostro bellissimo e prezioso lavoro di storyteller: costruire delle storie non solo emozionanti, ma anche credibili…e la credibilità passa attraverso il mantenimento di una promessa, che è una vision, una brand value proposition, un package efficace, un riposizionamento… insomma qualsiasi asset che conduca le persone a fare una determinata scelta di consumo. Perché attenzione: comunicare un prodotto/servizio (affinché venga scelto tra centinaia) implica la creazione di un consenso, che a sua volta (citando Paolo Iabichino) generi “fiducia, il sentimento che muove gli acquisti”.

Chiaramente il consenso (e quindi poi la fiducia e la scelta finale) è frutto di un lavoro costante, non solo di comunicazione, ma che proprio nella comunicazione trova il volano per aumentare il capitale di partenza del prodotto/servizio.

Come si costruisce quindi una strategia narrativa oggi?

1) Fondamentale è avere ben chiaro l’obiettivo della nostra azione di comunicazione, che può essere estremamente variegato e andare dal raccontare un riposizionamento all’aumentare le vendite, dal fare brand awareness al conoscere meglio il target, dal gestire un crise management al lanciare un nuovo prodotto, e così via. Ciascuno di questi obiettivi si porta dietro di sé una serie di azioni di comunicazione diverse, ma che concorrono tutte alla costruzione di una connessione di valore tra un brand e il target di riferimento, dove il contenuto deve “iniettare porzioni di senso dentro una narrazione di marca. E debba farlo consapevolmente. Sapendo che il senso di un brand si costruisce lentamente, a piccole dosi di coerenza e impegno. messaggio di marca.” (Paolo Iabichino).

2) Contenuto che, come si diceva, assume un impegno con il target (una promessa, appunto) e che non andrebbe mai disilluso. Tanto importante quanto l’obiettivo è dunque la coerenza/credibilità, nel contenuto del messaggio, nella scelta dei canali attraverso cui comunicare, nel rispetto di chi fa parte dell’organizzazione che stiamo andando a comunicare e ovviamente del mercato di riferimento.

3) Fondamentale per non perdersi è la creazione di un piano editoriale, che metta al centro un concept di comunicazione e tenga assieme obiettivo, target, messaggio e canali.

4) Saper scrivere, rispettando le 5 W del giornalismo.

5) Saper leggere gli insight.

Facile no?

Darca Stefanini

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comunicazione

CLUBHOUSE: CHE COS’È E COME FUNZIONA

Tutti ne parlano, molti lo conoscono ma solo pochi ne fanno parte. Stiamo parlando di Clubhouse, il nuovo social media basato solo su interazioni vocali; nell’app infatti non esistono foto, nemmeno link e post testuali, ma solo note vocali.

Clubhouse nasce nel febbraio 2020 grazie alla mente di Paul Davison e Rohan Seth, ex ingegneri Google e fondatori della startup americana Alpha Exploration e Co. L’app a fine 2020 è stata valutata 100 milioni di dollari e oggi possiede oltre 2 milioni di utenti attivi. Ma non stiamo parlando di utenti comuni: su Clubhouse infatti si possono trovare celebrities, startupper e opinion leader internazionali.

Gli elementi che l’hanno portata al successo sono stati l’esclusività e la dimensione ristretta. Infatti è possibile accedere all’app solo per gli utenti che utilizzano il sistema iOS (Apple) e ricevono un invito tramite il numero di telefono. Chi possiede iOS ma non l’invito può comunque scaricare l’app e mettersi in lista di attesa. Quanto invece agli utenti Android bisognerà attendere ancora qualche mese per testarla. Clubhouse, infatti, è ancora in fase beta test, ma ha già raggiunto numeri eccezionali considerando la fase di sviluppo in cui si trova.

Come funziona l’app?
Clubhouse è molto semplice e intuitivo. Ogni utente, una volta iscritto, può completare il proprio profilo aggiungendo una foto, una breve biografia e i link ai propri canali social. Subito il sistema propone all’utente tanti macro argomenti da scegliere come topic preferiti: musica, sport, business, wellness e così via. Perché inserirli? Clubhouse propone in automatico argomenti simili agli interessi aggiunti.

Nell’app ci sono tante room, stanze, ogni room contiene uno o più moderatori, cioè speakers, che intrattengono “gli spettatori” parlando. Nell’intero ecosistema si trovano inoltre room generiche come “4 chiacchiere in compagnia” oppure room tematiche “Consigli di digital marketing”, “Commentiamo le consultazioni politiche”, ecc ecc. Ogni utente può entrare nella room e ascoltare ciò che dicono gli speakers o in alternativa può – in gergo – alzare la mano e intervenire su autorizzazione dei moderatori. Così si può “salire sul palco” virtuale della stanza, parlando e interagendo con gli altri speaker. Se l’utente vuole lasciare la stanza, può farlo con un clic, senza disturbo. Non è possibile scaricare gli audio delle stanze, ragion per cui è necessario ascoltare in diretta gli interventi per coglierne il valore.

Su Clubhouse è possibile calendarizzare le room e quindi programmare l’evento e far sapere ai propri follower quando ci saranno gli interventi. I moderatori possono invitare i propri follower ad entrare nella room. Nell’app esistono 3 tipi di stanze:

-le stanze open, aperte a tutti;

-le stanze social, aperte solo alle persone che si seguono, 

-le stanze chiuse, aperte solo alle persone che si selezionano. 

Di ogni stanza l’utente vede il titolo, il numero di persone totali che ne fanno parte, il numero e il nome dei moderatori. Se in una stanza si notano nomi di vip o influencer ecco che, naturalmente,  queste si riempiono di utenti. Noi di Profili siamo addirittura capitati in una stanza con Elon Musk, il famoso imprenditore e innovatore statunitense (con più di 5 mila persone connesse). 

A sinistra, con la lente di ingrandimento si possono esplorare nuovi argomenti e trovare nuove persone da seguire. In alto compaiono il simbolo dell’email (avverte l’utente quando ha degli inviti disponibili per i propri contatti), il calendario delle room programmate e delle room in corso, la campanella con le notifiche (avvisa ogni volta che un utente diventa follower) e la propria foto che rimanda al profilo. A destra invece è possibile vedere gli utenti che seguiamo, se sono attivi e in quale stanza, oppure se sono offline. 

Clubhouse quindi appare un po’ come una radio privata, ma più interattiva e senza pubblicità (per il momento). In un clic ci si può trovare a conversare direttamente con opinion leader del proprio settore, un vantaggio da non sottovalutare rispetto a tutti gli altri social media. Ha però anche dei lati negativi, come l’enorme quantità di tempo che l’app richiede per essere fruita. Ogni room infatti dura mediamente un paio d’ore ma può essere molto più lunga se un moderatore nomina un altro moderatore che la tiene in vita, e così via.

Cubhouse sarà solo un fuoco di paglia o il prossimo social media in ascesa? Questo lo scopriremo solo nel tempo.

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influencer marketing

L’influencer marketing oggi: una strategia complessa

Oggi si parla sempre di più di influencer marketing, ma non è certo una novità. Già nel 2014 l’Harvard Business Review ne raccontava il funzionamento, che oggi sostanzialmente è uguale ad allora. Quello che cambia è sicuramente la possibilità di analizzare i risultati con più accuratezza e precisione. Ma cos’è l’influencer marketing? È quella forma di marketing basata sull’influenza che alcuni soggetti esercitano sul potere d’acquisto di altri. Anche qui non c’è una grossa novità: negli anni ’90 erano i testimonial, oggi sono persone qualunque che hanno acquisito nel tempo notorietà sul web. Quello che è cambiato, quindi, sono i canali di distribuzione: ieri erano tv e giornali, oggi sono i social media.

Quindi se una volta il consumatore poteva essere target di una pubblicità solo attraverso i canali non digitali, oggi sono questi a fare da padrone. L’esperienza del consumatore il relazione al prodotto è cambiata e quindi anche la pubblicità: oggi è il consumatore al centro delle dinamiche di marketing e di conseguenza cambia il modo di fare promozione. Grazie ai social media quello che oggi tutti ci mostrano, o che credono di mostrare, è la vita reale, l’autenticità ed è questa la chiave (del successo) dell’influecer marketing, la genuinità. Tutto questo è enormemente amplificato dalla dinamica dei social media che diventano il luogo in cui scambiarsi le opinioni, il luogo in cui fidarsi del parere di qualcun’altro, anche se questo qualcun’altro non lo conosciamo. Grazie a questa dinamica l’influencer marketing ha preso piede ed è diventato un tassello importante nella strategia di molti brand.

È troppo facile però valutare un influencer, e la sua capacità di attirare nuovi clienti, solo ed esclusivamente dal numero di follower. Non basta creare una campagna e utilizzare un personaggio molto seguito per avere successo. La fan base oggi è molto più attenta di qualche tempo fa: sa riconoscere benissimo nel messaggio sia l’autenticità che la neutralità, fattori fondamentali per la reputazione dell’influencer. Uno studio di Bazaarvoice di qualche tempo fa dichiara che il 47% degli utenti è stanco dei contenuti che appaiono non autentici e il 62% ritiene che le sponsorizzazioni di influencer poco credibili possono influenzare solo un pubblico facilmente impressionabile.

Quali sono quindi i fattori che determinano la reputation di un influencer? In primis l’abilità comunicativa, ovvero la capacità di convincere gli utenti, poi la competenza, ossia la conoscenza, più o meno approfondita, della nicchia di mercato, l’autenticità, la passione percepita per il prodotto o servizio, e infine la neutralità, la linea editoriale libera da interessi economici. C’è da fare una piccola precisazione però: non sempre gli influencer più efficaci sono quelli che operano in contesti affini al mercato e all’ambito merceologico di interesse. Si possono trovare influencer anche al di fuori dei canali tradizionali dove è già collocato un numero di utenti che può cercare informazioni e aggiornamenti sul brand; è molto più opportuno avere una visione trasversale in grado di intercettare audience ugualmente ricettive ma che seguono influencer lontani dall’ambito merceologico e dal mercato nel quale si opera. Questo, ancora una volta, dimostra che l’autenticità è fondamentale per una buona campagna di influencer marketing.

Dato per assodato che un messaggio, una storia, un racconto, costruito sulla finzione non porta a un aumento degli acquisti, il mondo degli influencer è in continua evoluzione mostrando molte più sfaccettature di quanto a prima vista possa sembrare. Visto che il successo o l’insuccesso della strategia di influencer marketing dipende dal soggetto che comunica, da che cosa e da come lo fa, le tendenze dell’influencer marketing sono quelle di coinvolgere figure diverse dalle celebrity, magari meno esposte sui media digitali, ma editorialmente più autentiche e commercialmente più efficaci. Facciamo qualche esempio:
Micro-influencer: figure che radunano attorno a sé un numero più limitato di follower. Godono di una reputation più solida ed autentica che non si sgretola con l’arrivo del nuovo brand, sono molto credibili nel settore di riferimento
Influencer residenziali: figure assunte in pianta stabile dall’azienda, motivo per cui il matrimonio col brand viene percepito come un atto d’amore, più che di interesse (es. la giornalista Ilaria Mazzarotta, appassionata di cucina, che è stata consulente interno di Buitoni per la comunicazione digitale, la creazione di nuove ricette e lo storytelling)
Gli ambassador: professionisti del settore di riferimento che promuovono attivamente i prodotti o servizi di un’azienda. Essi hanno una credibilità molto alta nella nicchia di mercato, ma rischiano di perdere credibilità a seconda del loro rapporto con l’azienda stessa.
Influser (influencer+user): figure di utilizzatori spesso ossessivi del prodotto, in grado di influenzare naturalmente, inconsapevolmente e senza secondi fini, i gruppi sociali in cui sono inseriti. (es. gli utilizzatori dei prodotti Apple).
I superconsumer (brand advocate): gruppo di clienti (5-10%) affezionatissimo al brand. Condividendo il proprio sentire con amici e parenti collegati al proprio network, esso ha un’enorme influenza sulle vendite (30%-70%). Il gruppo dei superconsumer è attentissimo alla qualità del prodotto ed interagisce sui social del brand elogiandone le caratteristiche o segnalando difetti. Essi condividono e sposano i valori del brand.

Quindi, dato per assodato che da sola una campagna di infuencer marketing non raggiunge grandi risultati se non inserita in un percorso di storytelling articolato, proviamo a dare qualche consiglio per una strategia di influencer marketing efficace:
Essere chiari sugli obiettivi: target preciso, budget definito, indicatori misurabili
Identificare il giusto influencer e il giusto canale: ogni infuencer ha caratteristiche diverse e può essere adatto a una piattaforma ma non a un’altra, quindi bisogna studiare bene il futuro influencer perché sia in linea con i valori, ma anche il più adatto al prodotto/servizio
Il costo dell’influencer: deve essere sempre valutato in termini di ritorno dell’investimento
Lasciare che l’influencer sia creativo: il personaggio conosce i propri follower e la sua popolarità è data dal loro apprezzamento, quindi è importante lasciare loro lo spazio creativo perché sanno come comunicare con i loro fan
I post non sono fatti per vendere: il contenuto deve essere autentico e deve promuovere i valori del brand, ma deve anche essere chiaro che è frutto di una partnership sponsorizzata, altrimenti gli utenti si sentono presi in giro.

Una cosa però da tenere presente, sempre, sono le implicazioni etiche relative a questa pratica del marketing a cui bisognerebbe fare molta attenzione: i valori del brand vanno sempre rispettati, da parte dell’influencer e nella campagna, perché ci vuole poco a perdere la credibilità!

L’influencer marketing deve, a conclusione, essere inserito in una strategia di marketing più generale, che aiuti la brand awareness a crescere con credibilità, perché anche nel mondo del digital quello che conta è il passaparola, solo che oggi è molto più veloce!

Emanuele Meschini